lunedì 24 dicembre 2018

La fantomatica coscienza di classe # 11

Articolo del 2011 tratto dalla rivista  n+1, dal titolo " Perchè il marxismo non ha più il successo di una volta ?", consultabile sul sito QuinternaLab.
Secondo i redattori, la fantomatica coscienza di classe è all' opera ma appunto storicamente trasfigurata, privata di qualsiasi volontarismo, al sicuro nell' oblio direbbe il filosofo, non si presenta con caratteri rivoluzionari ma di " un' inconsapevolezza classisticamente determinata rispetto alla propria situazione economica storico-sociale"; essa si evidenzierà con altre forme e contenuti e non prima di sciogliere altri nodi più importanti. ---

A Denver, una delle cento città americane in cui è presente il movimento Occupy Wall Street, Michael Moore è stato zittito perché s'era atteggiato a capetto. Nella stessa occasione l'assemblea ha eletto un cane come proprio leader. Roberto Saviano, invitato a parlare a New York, ha sollevato critiche perché s'è rivolto ai manifestanti con distacco: "Iovoi… il vostro futuro… dovete far questo e quello… il mondo vi ascolta...". A Zuccotti Park fin dall'inizio sono stati rimossi i cartelli con i simboli anarchici e comunisti. Sembra che oggi ci sia non solo voglia di rimuovere i vecchi concetti di organizzazione e leadership, quello che nella prassi chiamavamo "partito" e "avanguardia", ma anche ogni riferimento alla divisione in classi. Il simbolo"Siamo il 99%" è molto potente e più unificante di falce e martello, ma è indubbiamente interclassista. Tuttavia non è solo una questione di pratica "inclusiva", come dicono gli americani: è fin troppo evidente che da molti anni il marxismo è decisamente in declino, anche se i librai dicono che sono in aumento le vendite dei libri di Marx. Eppure negli anni '20 del secolo scorso e anche nel dopoguerra, fino al Sessantotto e oltre, milioni di persone avevano il marxismo come riferimento politico. È possibile che il fenomeno sia in gran parte dovuto alla mistificazione stalinista, per cui il nostro avversario ha avuto buon gioco nel definire "comunismo" il feroce capitalismo russo, ma sono passati troppi anni dal crollo del Muro per credere che lo stalinismo spieghi ancora la persistente diffidenza verso il comunismo. Il grande movimento in corso ha estensione mondiale, ma senza una teoria della trasformazione, un'organizzazione politica e una tattica da applicare non può che spegnersi.

domenica 16 dicembre 2018

L' incerto futuro del WTO

" La catena è costituita da anelli che alternano accordi e conflitti in un ritmo sempre più rapido dove le stesse potenze stabiliscono alleanze pacifiche per una zona mentre sono in conflitto per un'altra. "


Articolo ottimo esempio di come le regole borghesi cristallizzano una situazione pratica precedente alle regole stesse e quindi sempre alla rincorsa rispetto ad essa, rispetto alle rapide, sempre più rapide, evoluzioni della prassi sociale capitalistica. Trump così ha aperto un contenzioso per ora formalmente giuridico con il WTO, ma potenzialmente eversivo per le sorti dell' organizzazione.
Il mio interesse per il commercio globale è finalizzato a cercare di farmene una mappa e con essa un' idea del complicato gioco del rapporto fra le varie monete, legato a sua volta a doppio filo ai flussi finanziari al seguito delle merci. Se un giorno ci arrivassi, il fine ultimo sarebbe avvicinarmi a comprendere meglio l' esportazione di capitale, là dove il profitto estorto si fa interamente rendita - o tasso d' interesse. Evangelicamente, le vie dell' imperialismo sono infinite.
La scadenza del 10 dicembre cui si fa cenno nell' articolo è passata: gli sherpa del capitale riuniti a Buenos Aires, come previsto dal giornalista, sono giunti ad un bel nulla di fatto.---

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha le sue armi puntate oggi sulla Cina, ma una guerra più grande si sta preparando alla World Trade Organization - dove è in gioco il futuro del sistema commerciale globale. Negli ultimi due anni, gli Stati Uniti hanno bloccato le nuove nomine all' organo di appello dell'OMC, di fatto la corte suprema dell'organizzazione per le controversie commerciali. E a meno che non vengano stabilite nuove nomine entro il 10 dicembre 2019, la compagine della corte scenderà al di sotto del numero necessario per decidere sui casi. In effetti gli Stati Uniti stanno minacciando di mettere in secondo piano il coronamento dell'OMC - un forte meccanismo di risoluzione delle controversie - dando al resto del mondo solo un anno per offrire concessioni sulla riforma negli Stati Uniti, per cercare altre opzioni o per affrontare un mondo dove il meccanismo si disintegra. Con l'ascesa di un nuovo potere globale - la Cina - l'amministrazione Trump potrebbe aver già deciso che questo strumento commerciale, una reliquia dell'era della Guerra Fredda, non merita di essere aggiornato.

sabato 24 novembre 2018

La diplomazia delle cannoniere

Update sulla trade war, il pezzo sotto ne illustra le ultime novità. Dall' articolo emerge chiaramente quanto i rapporti inter-imperialistici si animino parecchio quando in ballo c'è il primato tecnologico, cioè il plusvalore nella sua forma meno contendibile dalla concorrenza: quella relativa. Inoltre si coglie, fra le righe e in una certa misura, la sensazione per gli USA di essere sotto attacco, sensazione che viene da decenni periodicamente alimentata. Questo è quanto, così vanno ad incontrarsi Trump e Xi nel fine settimana prossimo al G20 di Buenos Aires.---

Ulteriore aggiornamento del 9 Dic: la cena tra Trump e Xi-Jinping di sab 1, alla cui fine è stata annunciata la tregua di 90  giorni per trovare un accordo sui dazi, era un coup de theatre visto che poche ore prima era stata arrestata in Canada la vice presidente, e figlia del fondatore, di Huawei tecnologies, arresto effettuato su spinta americana, il pretesto è l' aver scavalcato l' embargo di tecnologie americane verso l' Iran attraverso una triangolazione con al centro Huawei appunto. Mala tempora currunt !

L'ultima Guerra dell'Oppio è finita 176 anni fa, ma Pechino ricorda bene la battaglia, in particolare l'inclinazione dell'occidente per la diplomazia delle cannoniere. I ricordi della coercizione e dei blocchi occidentali hanno già spinto la Cina a rafforzare la marina del paese e ad adottare misure aggressive nel Mar Cinese Meridionale per soddisfare due dei suoi imperativi strategici prioritari: prevenire qualsiasi invasione sulla costa orientale e assicurare le rotte commerciali marittime.


lunedì 12 novembre 2018

Gli ultimi apologeti



I cinesi sembrano gli ultimi apologeti della globalizzazione nella versione win-win, nel mentre brexit, il sovranismo europeo, il Brasile, quel che può il Giappone e in particolare la politica trumpiana -che mira a mantenere l' egemonia con il minimo  di  manutenzione ordinaria riducendone al contempo i costi- rimandano ad un ripescaggio della economia inter-nazionale a guida geopolitica.

Sicuramente dopo gli anni dei G8 e G20 post-2008, quando nulla è successo rispetto all' aspetto finanzario della crisi, si è preso atto dell' impossibilità di una politica collegiale che controlli e contenga le interconnessioni e le scorribande dei flussi finanziari globali. Un intervento auspicato ma totalmente onirico all' interno della accesissima competizione  per l' accaparramento di quote di quel  plusvalore prodotto -con sempre maggior difficoltà- sul pianeta. Capitalismo come lotta fra capitali contrapposti.

La crisi persiste neanche tanto sotto pelle, nonostante gli USA in particolare abbiano imbroccato un ciclo espansivo ma difficile da stabilizzare (cruciale sarà il soft-landing monetario) e ancora più da far ricadere ai piani bassi dell' edificio sociale. Per il resto del capitalismo maturo qualche punto base di  crescita del PIL non è che un cerotto messo a tappare un' emorragia, a frenare le paure di ceti medi terrorizzati di vedersi tolti gli agi residuali, una rimanenza di distinzione da un proletariato che è rimasto nell' indigenza e nella disoccupazione. Vanno ancora a votare, pensando solo ai torti subiti. L' ironia è che tutto sommato si va avanti per ora quietamente.

Ma torniamo al Celeste Impero e al suo mastodontico progetto infrastrutturale BRI. Un progetto che tutti accreditano come la prosecuzione delle politiche export oriented che hanno fatto della Cina la fabbrica del mondo.  Invece mi pare che sia via via sempre più un progetto che ha un impronta di natura geopolitica. Ma in fondo che differenza fa, l' imperialismo è uno e trino.

"L’Europa e la Cina, già dieci anni fa, avevano lo stesso problema, quello di avere sistemi economici basati sulle esportazioni. La dirigenza cinese, più intelligente, flessibile e illuminata, ha sempre avuto piena consapevolezza della fragilità di un modello di questo tipo, ha ancora tirato la corda per qualche anno per sistemare le sue cose e poi ha avviato un processo di ribilanciamento dalle esportazioni ai consumi che ha ridotto il suo surplus delle partite correnti a un modesto 1.2 per cento." Le dinamiche che spingono verso la terziarizzazione sono sostenute, incentivate e per quanto possibile accelerate.

E allora perchè perseguire questo gigantesco progetto -nonostante l' aria di recessione tiri anche da loro- a partire proprio dal 2015, quando la fuoriuscita contemporanea di masse di capitali esteri provocò un mezzo crash finanziario ? La dirigenza cinese  ha chiaramente tutta l'intenzione di bypassare il controllo americano sulle rotte commerciali del sud-est asiatico, raddoppiandole via terra, e di attrarre nella propria sfera finanziaria tutta l' area interessata dai flussi, così assicurati, delle proprie merci e delle varie supply chain, comprese le forniture di competenze, beni e materie prime. Una visione di lungo periodo che sembra non aver paura di affrontare quel vasto e instabile insieme di scacchieri. Un atteggiamento che non mancherà di essere confrontato con quello americano.---


In un arco temporale di soli trent’anni, con un modello di crescita basato sui suoi vantaggi comparati e fortemente vocato agli investimenti e alle esportazioni, la Cina è stata protagonista di un rapido sviluppo da paese agricolo povero a potenza industriale globale, diventando nel 2010 la seconda economia del pianeta. Dopo la crisi finanziaria internazionale del 2008, tuttavia, e di fronte alla frenata dell’economia globale, molti paesi, compresa la Cina, hanno cercato nuove soluzioni per stimolare o sostenere la crescita. In effetti, in un mondo post-Trump e post-Brexit nel quale l’America e il Regno Unito stanno entrambi – concretamente o simbolicamente – puntando a sganciarsi dalla globalizzazione, l’aspettativa diffusa è che Pechino svolga un ruolo più importante nell’economia globale. L’economia cinese oggi vale qualcosa come 12.000 miliardi di dollari, e negli ultimi anni ha contribuito a circa un terzo della crescita economica mondiale.

sabato 3 novembre 2018

Gli amici del padrone

Le dinamiche che inverano la presunta necessità di funzioni improduttive e classi intermedie sono qui ben illustrate. Si parte per ottimizzare ogni minimo aspetto e superare ogni criticità inerente al completamento del ciclo della valorizzazione e si finisce per invitare al brunch i propri parassiti mettendo nel menù come piatto principale la linfa vitale: il profitto. 

Bisogna aggiungere che in ogni caso il salario giusto, per un padrone, rimane  sempre quello mediamente  più basso e che l' accrescersi della produttività non ricadrebbe comunque in maniera spontanea ad ingrassare le buste paga.---


lunedì 29 ottobre 2018

Le virtù dell' ignoranza





La classe intellettuale è adusa a interloquire solo tra sè e sè, avendo smesso da lungo tempo di interrogare la realtà, il più delle volte perchè troppo contraddittoria e paradossale per dei parametri dove tutto deve tornare liscio, senza vere pietre d' inciampo, riformabile.
Eppure anch'io, che contesto che un marxista possa essere un uomo di cultura, conosco la gioia che deriva dall effimero potere che dà l' aver afferrato saldamente un pezzetto significativo della mia e nostra realtà: oggi come ieri sfuggente, estranea, ostile.--- 


Quel che non si può misconoscere, invece, è il fatto che le due -che lo spirito illuministico volle strettamente legate, da Kant fino a Freud, son venute ormai separandosi nelle cose. Non é lecito invocare la Kultur contro la Zivilisation: il gesto imprecatorio, le formule esaltatrici della Kultur contro la società di massa, il diligente consumo di beni culturali a conferma del proprio gusto superiore nell’arredamento dell’ anima — tutto ciò precisamente é indissolubile da quel che la civiltà nostra ha di disgregato e disgregante. L’ invocazione della Kultur e' impotente.
Ma altrettanto vero e' che l' attivita' dell’incivilimento, come produzione e uso coltivato di meri oggetti strumentali e per di più spesso superflui, si e' resa ormai fine a se stessa in misura intollerabile, e che gli uomini non sono più o quasi piu' padroni di quest’apparato, ma suoi funzionari, ovvero consumatori coatti di quel che esso produce. Ma sarebbe falso arrestarsi a questa riflessione.

martedì 9 ottobre 2018

Oktoberfest

Ma che c'è sotto ?
Altra puntata della guerra in Europa, stavolta nella ricca Baviera, laboratorio politico e insieme terra di frontiera. Devo dire che mie fonti dirette descrivono una realtà locale molto meno disastrata di come appare nell' articolo, invece sono piuttosto in convergenza con l' autore quando il discorso va ad esaminare le magagne di ritorno del troppo celebrato  modello capitalista tedesco.---

La crepa profonda che minaccia l'Unione europea non sta sulla Manica per via della Brexit, e tantomeno nella dissidenza dei Paesi del Gruppo di Visegrad. Il governo giallo-verde dell'Italia e' solo un fastidioso foruncolo da schiacciare con lo spread. Il vero terremoto per l'Europa potra' scatenarsi dal cuore industriale della Germania, dalla Baviera: qui vengono al pettine i nodi irrisolti dall'Unione, innanzitutto l'immigrazione incontenibile che ha gia' squassato l'Italia. Ha destabilizzato l'area piu' ricca della Germania, cosi' come la poverta' nei Lander orientali sta polarizzando il consenso verso formazioni xenofobe e sovraniste. Un assetto sociale rigido, incapace di farsi concavo di fronte all'ingresso imprevisto di migliaia di stranieri, va in frantumi. Anche le soluzioni meccaniche messe in campo di recente dal governo federale, con l'aumento del salario minimo dei lavoratori precari, sono state bilanciate dalla riduzione delle ore lavorate. La locomotiva politica, prima ancora economica dell'Unione, e' cosi' dilaniata al suo interno, con un progressivo disfacimento del consenso verso i suoi due pilastri politici tradizionali, la Cdu-Csu e l'Spd. Un processo che ha gia' colpito un po' tutte le famiglie politiche europee che hanno rappresentato il pilastro del secondo dopoguerra. Le elezioni bavaresi del prossimo 14 ottobre segneranno comunque la fine dell'era Merkel, gia' messa a dura prova dai deludenti risultati elettorali del settembre 2017. C'e' in gioco assai piu' della continuita' politica che i suoi governi hanno assicurato attraverso le grandi coalizioni con i Socialdemocratici, messe in piedi a partire dal 2005. Ci si divide su tre temi, e sulle le rispettive polarita': integrazione/identita'; accumulazione finanziaria/sostenibilita' ambientale; lavoro regolamentato/precarizzazione sociale. In Baviera, i sondaggi ormai consolidati sono impietosi nel prevedere che la Csu perdera' per la prima volta dal 1962 la maggioranza assoluta dei seggi del Langstad, dopo aver governato ininterrottamente dal 1946. Rispetto al 2013, passerebbe dal 47,7% dei voti al 33%%; i Verdi aumenterebbero nettamente il consenso passando dall'8,6 al 18%; i Socialdemocratici dimezzerebbero i loro voti passando dal 20,6 all'11%. L'Fpd, il partito liberale, invece, e' accreditato appena del 6%, rispetto al 3,3% della precedente tornata. L'AfD, il partito che raccoglie le tendenze xenofobe e sovraniste e che tanto preoccupa tutti per il crescente consenso che riesce ad aggregare, si fermerebbe al 10%.

domenica 30 settembre 2018

All' ombra dei big data

La concorrenza isola gli individui, non solo i borghesi, ma ancor più i proletari, ponendoli gli uni di fronte agli altri , benché li raccolga insieme. Perciò passa molto tempo prima che questi individui possano unirsi, senza tener conto che i mezzi necessari per questa unione - se non deve essere puramente locale, - le grandi città industriali e le comunicazioni rapide e a basso prezzo, devono essere prima prodotti dalla grande industria; e perciò non è possibile vincere, se non dopo una lunga lotta, tutte le forze organizzate contro questi individui che vivono isolati e in condizioni che riproducono quotidianamente l’isolamento. 


Ricondurre la faccenda dei big data a un semplice attacco alla privacy è badare alla paglia e non alla trave che si ha nell'occhio: contenti loro, al netto delle significative magagne che porta con sè  il concetto di privacy. Queste tecnologie serviranno a conoscerci davvero, ad organizzare la produzione e la distribuzione in maniera razionale, senza plus da realizzare, senza sussunzione dietro alle spalle da cui guardarci. Nel frattempo però questo è lo scenario con cui dobbiamo dialetticamente misurarci... ---


Una delle regioni più povere della Cina – il Guizhou – è diventato una sorta di avamposto tecnologico scommettendo sui Big Data. Come ha sottolineato la professoressa di sociologia alla Zhejiang University Li Jing su Sixth Tone, la regione «ospita il settore dell’economia digitale in più rapida espansione del paese, cresciuto del 37% nel 2017, rispetto alla media nazionale del 20,3%».

Nella zona high tech di Guiyang, il capoluogo di regione, solo nella prima metà del 2018 sono state registrare «16.000 aziende tecnologiche, 155 istituti di ricerca e 49 incubatori tecnologici»; la zona ha attratto «85.000 professionisti da tutto il paese» e solo nel 2017, 37 startup che si occupano di dati e algoritmi sono state quotate in borsa. Si tratta dell’esplosione di quella che alcuni definiscono come la post-internet era, già quotidianità in Cina.

Secondo il Financial Times i Big Data «cambieranno per sempre il sistema di governance cinese», secondo altri analisti daranno un immenso potere al partito comunista, secondo altri ancora, come Yasheng Huang, professore del Mit Sloan School of Management, potrebbero invece portare «a una nuova ventata di libertà personali». Tutte queste riflessioni finiscono per insistere sul sistema dei «crediti sociali» cui Pechino pensa da tempo e che dovrebbe formalizzare in un piano nazionale nel 2020.

martedì 17 luglio 2018

Noi contro noi ?

Dialogando con una compagna, che usava la successione in fasi da keynesiana a neo-liberista,  obbiettavo che " i paesi leader del capitalismo mondiale hanno sempre proceduto con il doppio passo".  Dicendo questo non intendevo contestare la periodizzazione storica dal novecento fino a noi in keynesismo di guerra-di pace-neoliberismo ma intendevo contestare quel che di ideologico, a mio avviso, vi è contenuto. E' vero che: " lo Stato ha perso ruolo quale regolatore del meccanismo della riproduzione sociale, di garante e interprete dei principi costituzionali e della loro estrinsecazione nella sfera della legislazione, lasciando esposto il lavoro alla condizione darwiniana del mercato"; è altrettanto vero che la statalizzazione dell'economia ha preso sempre più spazio quantitativo e in progressione geometrica proprio a partire dal palesarsi della fine della fase keynesiana. Insomma la profondità della dialettica Capitale-Stato è tutta da capire e non ci si può accontentare -come vuole l' opinione comune e non della compagna in questione- di assegnare una  posizione ancillare ad uno o all' altro [ ironicamente, il grafico di Bloomberg ne illustra un singolo aspetto].

A questo proposito articolo del 2012 di Quinterna.org che guarda alla unità dinamica dello  Stato e del Capitale, al loro rapporto contraddittorio -e proprio in virtù di questo- di rivitalizzazione reciproca,  al fatto che la crisi degli Stati esprime sempre più chiaramente la mutata distribuzione dell' interesse generale borghese che ha assunto forme compatte a livello planetario e sempre più particolari e puntiformi a livello locale. La asfittica vicenda europea oppure le provocazioni "avanguardistiche" di Trump  di questo parlano: i tanti personaggetti in scena si affannano a cercare di strutturare e trattenere a livello nazionale il fugace momento espansivo dell'  economia, forse già al suo epilogo.---


La tesi che sta alla base della presente esposizione è semplice: più Stato non vuol dire meno capitalismo bensì il contrario; nello stesso tempo vuol dire capitalismo vecchio e decrepito, che ha bisogno di medicine salva-vita per evitare il collasso. Quali sono i sintomi? C'è una cura? I sintomi cercheremo di descriverli, la cura semplicemente non c'è più.


domenica 1 luglio 2018

Il petrolio nella guerra dei dazi


Ennesima puntata della trade war USA-Cina, questa volta vista sotto l' aspetto degli scambi di prodotti energetici,  altro argomento prediletto per leggere il capitalismo del nostro tempo. Quel che traspare dai rabbiosi rilanci attraverso tweet di Trump di queste ultime settimane e dalle puntuali risposte dei vertici cinesi è che i secondi hanno celesti e ampie strategie quando il primo ha invece tattiche così ondivaghe da risultare destabilizzanti anche per la propria parte, vedi le puntuali smentite di Mnuchin e Ross agli sproloqui del loro presidente.

In realtà Trump si rende bene conto che il potere reale è oramai per buona parte al di fuori delle varie istituzioni internazionali di arbitraggio a prevalente carattere multipolare (G7, WTO) che gli USA gestiscono da sempre da egemoni e non vede l'ora di restituire agli States il ruolo di protagonisti clamorosi e assoluti della scena mondiale laddove il vero potere si misura: nella forza di imporre ad altri condizioni meno vantaggiose di quelle in essere.

Ma la complessità che l' interdipendenza commerciale pone è sottile da cogliere, basta poco perchè una tattica isolata ottenga risultati avversi.---


C'è un prima e un dopo nel mercato petrolifero, e quindi nelle relazioni che lo costituiscono, a seconda che lo si guardi prima o dopo l'accelerazione della guerra di dazi voluta da Donald Trump nei confronti della Cina. Uno degli ultimi colpi di scena, il più rilevante ai nostri fini, è la decisione cinese di minacciare ritorsioni sulle importazioni di beni energetici dagli Stati Uniti: se applicata, potrebbe cambiare profondamente gli equilibri che si stavano costruendo nei mercati, a cominciare da quello del petrolio.


lunedì 25 giugno 2018

App/endici

Articolo per capire un pò meglio in cosa consiste nello specifico la cosiddetta gig economy che usa come struttura le app: in particolare la logistica si caratterizza nell' estrazione di valore dalla veloce e continua riorganizzazione del lavoro e della sua sorveglianza, cioè dalla continua ottimizzazione del tasso di sfruttamento. Non è un caso che le poche lotte degne di nota -e non immediatamente cooptate dai sindacati istituzionali- spesso scoppiano in questo settore ad alto contenuto di globalizzazione (UPS, Amazon, GLS ecc), in cui si  richiede ai lavoratori l' ancestrale sforzo fisico e al contempo l' alfabetizzazione informatica.

A questo proposito di recente un compagno, parlando d' altro, mi ha ricordato che Marx considera la logistica più vicina alla produzione che non al passaggio della circolazione del valore : «il valore d’uso delle cose si attua soltanto nel loro consumo, e il loro consumo può rendere necessario il loro mutamento di luogo, cioè l’aggiunto processo di produzione dell’industria dei trasporti. […] All’interno di ogni processo di produzione il mutamento di luogo dell’oggetto di lavoro e i mezzi di lavoro e le forze-lavoro a ciò necessari – ad es., cotone che dalla sala di cardatura passa alla sala di filatura, carbone che dal pozzo viene portato alla superficie – hanno una parte di grande importanza. Il passaggio del prodotto finito in quanto merce finita da un luogo di produzione autonomo in un altro da questo spazialmente distante mostra lo stesso fenomeno, solo su una scala più grande. Al trasporto dei prodotti da un luogo di produzione in un altro segue ancora quello dei prodotti finiti dalla sfera della produzione nella sfera del consumo. Il prodotto è pronto per il consumo solo quando ha compiuto questo movimento».

Segue un articolo esemplificativo tratto da autistici.org, dedicato ai raider da parte di un preistorico ex-pony express.


Disciplina applicata

Fiumi di parole sono già stati spesi riguardo le nuove forme di lavoro basate sull'utilizzo delle digital platform. Le famigerate App stanno sostituendo e anzi integrando la vecchia organizzazione del lavoro, per atomizzare e gestire al meglio chi ogni giorno suda tra gli scaffali dei magazzini Amazon o tra le strade delle città a misura di delivery. Proveremo ora a dar conto di queste trasformazioni a partire dai cambiamenti introdotti ultimamente da una specifica azienda, già ampiamente chiacchierata nelle pagine di questo blog e non solo: Deliveroo Italia. Avendo sullo sfondo la piccola esperienza di lotta accumulata fino ad ora, degli scioperi torinesi di maggio e settembre scorsi e di altre iniziative in giro per la penisola, cercheremo di capire la portata delle contromisure prese dai padroni (o manager, che dir si voglia) e l'impatto che queste potranno avere sulle possibilità organizzative di future lotte dei rider. A partire dall’attacco diretto al sacrosanto principio del lavorare con lentezza che, almeno in quel di Torino, una buona parte della flotta ha sempre cercato di osservare con fermezza.


domenica 3 giugno 2018

I poteri forti


Settimana campale per gli equilibri politici italiani, la fame di soldi per finanziare "il contratto di governo" aveva indotto Salvini e Di Maio ad azzardare una cancellazione parziale del debito e a proporre Savona come uomo in grado di far cedere Brussels sul fronte di un principesco finanziamento a debito. Che scherzi che fa la  mancanza di zuccheri.

Sono stati evocati spesso "i poteri forti" che ci terrebbero in ostaggio, il che la dice lunga sulla rappresentazione, tanto più elementare tanto più efficace, con cui la politica -che si vorrebbe riprendere il potere reale che ha perso - cerca di far breccia nelle teste dei "popolani", ieri come oggi. Popolani, ovvero tutta la borghesia italiana nelle sue scivolose declinazioni, che però, più pragmatica dei suoi leader, li ha ricondotti ben presto a più miti e concreti consigli.

Dipanare la matassa delle provenienze e delle influenze rappresentate dai capitali che hanno "attaccato" al ribasso il prezzo dei BTP -aumentandone, fino a quasi raddoppiare, il rendimento- in realtà non è di alcun interesse, se non per il complottista. Diciamo che tutti gli operatori finanziari, semplicemente per fare profitto, se individuano un buco, un punto di debolezza, ci si infilano. Per altro questo movimento era atteso da settimane, a volte piace vincere facile.


Dice il globalista che i mercati e l’Europa ci stanno spiegando che così non va bene e che dobbiamo metterci in riga. Bisogna ascoltarli perché hanno ragione nel merito e perché ci finanziano. Dice il sovranista che i mercati e l’Europa si sono impadroniti dell’Italia, prendendosi molto di più di quello che eravamo disposti a concedere. Dobbiamo fare il contrario di quello che ci chiedono perché gli interessi del dominante sono di segno opposto rispetto a quelli del dominato.

giovedì 24 maggio 2018

Il rischio politico

Ennesima puntata della guerra in Europa: la piccolissima borghesia, conservatrice quando gira bene e reazionaria quando gira male,  va al potere politico. E trova già un certo appoggio ideologico. In Italia iniziano a vedersi inversioni a U di alcuni intellettuali ed economisti. Dice bene Salvini quando afferma che la contrapposizione è tra il popolo e le elite, poichè il proletariato è sempre più silente.
 
L'appello è senza precedenti. Ben 154 economisti tedeschi hanno firmato un durissimo manifesto contro Emmanuel Macron e Mario Draghi, pubblicato su Faz.net, il sito della Frankfurter Allgemaine Zeitung. Senza citarli per nome, i più prestigiosi tra i docenti tedeschi di economia (compresi Hans Werner Sinn e Thomas Mayer, consiglieri di Angela Merkel, più Jurgen Stark, ex consigliere della Bce) bocciano senza appello sia le riforme dell'eurozona proposte dal presidente francese, sia la politica del Quantitative easing (acquisto di titoli di Stato) voluta dal presidente della Banca centrale europea (Bce). In sintesi: basta con le concessioni fiscali da parte dell'Ue ai paesi indebitati e indisciplinati come l'Italia, basta con la politica monetaria permissiva, ma sì soltanto alle riforme strutturali.

domenica 6 maggio 2018

Equilibrio di potenza

Lungo articolo "contrarian" di un ottimo analista di geopolitica in cui emerge la razionalità che sorregge  la tattica trumpiana, entrata infine in dialogo con la strategia più di lungo corso degli apparati di potere che si annidano nello Stato profondo, nei recessi della burocrazia americana, notoriamente impermeabili alla volatilità politica.
 Il mantenimento del equilibrio di potenza oggi si sostanzia nel contrapporre fra loro  elementi regionali in modo atto a mantenere la supremazia ad un piano più alto. Ma la attuale declinazione di questa strategia richiede anche un gigantesco e pericoloso presupposto interno: i twin deficits, federale e commerciale, sono una crepa nelle fondamenta dell' edificio statale e  al contempo il segno indiscusso e lo strumento più efficace della potenza statunitense nella sua proiezione globale.
 Fu, in particolare il disavanzo commerciale, il grosso chip gettato sul tavolo planetario che nei decenni ha condensato attorno a sè la galassia del mercato mondiale, imperniato sulla merce-dollaro. Per contro questa politica di crescita della potenza americana, che sconfisse l' Urss principalmente su questo piano e su quello tecnologico, trova nel lungo termine il suo limite strutturale proprio nell’emersione di nuove potenze.
 Avere un certa quota di controllo sul sistema internazionale dei pagamenti, cioè delle banche depositarie dei titoli statali, può essere molto lucroso e ben più efficace di un intervento armato, al contempo però si è esporti al rischio di flussi globali di capitali che ritengono profittevole posizionarsi contro o la creazione di valute di riserva alternative. Comunque sia, l' operazione richiede molta abilità, tempo e un contesto storico favorevole. Ne sanno qualcosa gli inventori dell' euro e del renimbi.


1. Al cospetto di un mondo in sostanziale movimento, gli americani sono diventati conservatori. Alle prese con gli effetti collaterali della monopotenza, non pensano più di stravolgere la congiuntura internazionale. Confermano lo status quo, ne accettano il dipanarsi. Non solo perché maneggiano i gangli del primato – dal controllo delle vie marittime alla funzione di compratore di ultima istanza, dall’emissione del dollaro all’avanguardia tecnologica. Dopo aver sperimentato le conseguenze negative del proprio avventurismo, le sofferenze causate da una azzardata voglia di rimodellare il creato, intendono scongiurare il ripetersi della storia. Soddisfatti del momento che vive il pianeta, dell’assenza di minacce concrete alla loro supremazia, sono finalmente consapevoli di non poter incidere su ogni dinamica umana. Stretti tra l’impulsiva voglia di ritirarsi dagli affari internazionali e i monumentali sforzi richiesti dalla condizione egemonica, scelgono la manutenzione ordinaria del sistema che presiedono. 


venerdì 6 aprile 2018

Techlash #2 - il fronte interno






China is the problem, Trump is the solution.
This is not a trade war
All we're trying to do is save American technology



Chi muove guerra a qualcuno è sempre convinto di poter vincere, altrimenti se ne starebbe calmo e penserebbe semmai a difendersi. Alla resa dei conti, tuttavia, capita spesso che chi muove guerra finisca sconfitto. È evidente, in questi casi, la sopravvalutazione delle proprie forze e la sottovalutazione di quelle dell’avversario. Se il calcolo delle forze in campo si rivela ex post frequentemente sbagliato è perché viene effettuato quasi esclusivamente sul fronte esterno. Se si hanno più uomini, carri armati e aerei del nemico, se si hanno una tecnica di combattimento migliore e un terreno di scontro favorevole, allora la vittoria è considerata altamente probabile. Raramente si tiene conto del fronte interno ed è qui, la maggior parte delle volte, che casca l’asino.
 

sabato 31 marzo 2018

Techlash #1






“Non sarebbe esagerato affermare che oggi i costumi sono
determinati e imposti quasi esclusivamente dalle cose.
I prodotti infatti hanno preso il posto dei nostri simili,
perciò se oggi abbiamo un codice di comportamento,
esso è dettato dalle cose”.


“Se avete qualcosa di davvero importante da dire, scrivetelo a mano e prendete un corriere per consegnarlo”. Così suona l’esposizione della “dottrina Trump” sulla tecnologia, fondata sull’esigenza di “fare le cose alla vecchia maniera” ed esposta circa un anno fa a Mar-a-Lago. Com’è noto, il presidente degli Stati Uniti, che di fatto vive in una eterna replica degli anni Ottanta, si nutre di televisione e ha fatto dell’uso compulsivo di Twitter una delle sue cifre comunicative. Eppure, dietro le note di colore sul semianalfabetismo tecnologico di Trump, il rapporto con la tecnologia del presidente degli Stati Uniti è distante da quello del suo predecessore Barack Obama in ciò che conta davvero: i legami con le grandi aziende tecnologiche, i giganti digitali statunitensi. 

domenica 25 marzo 2018

Capitale contro Capitale









Le schermaglie sui dazi commerciali le trovo particolarmente divertenti per l' abilità (mai farne una questione di stile) con cui Trump vuole portare alcuni dei principali partner a incontri bilaterali che gli permettano di ridurre l' enorme deficit commerciale americano, marginalizzando le istituzioni come il WTO anche se per ora non le delegittima apertamente.

Vuole fare questa cosa ma non può spingerla fino in fondo, le dinamiche compatte dell'imperialismo mondiale gli impongono di continuare a essere il paese imperiale che consuma le merci di tutti gli altri, pena uno  sconquassamento un pò troppo radicale dello status quo dei commerci mondiali che per ora non conviene a nessuno degli antagonisti.

La prima onda della crisi dei profitti si è appena appena chetata e tutti ne sono usciti malconci,  indeboliti e con la sensazione che non sia per nulla finita qui. Hanno ragione. Nel frattempo però si cerca il miglior posizionamento sulla scacchiera geoeconomica in attesa che si manifesti la seconda e Trump quello sta facendo. L' articolo del Sole più sotto di questo parla, dando per scontato un naturale atlantismo che a mio avviso è oggi invece molto mal subito da questa parte dell' oceano: e chi se lo scorda l' Hotel Plaza ?

Alla faccia di chi pensa che lo stato, nella sua significativa accezione di mercato interno, sia depotenziato nell' era della globalizzazione, ricordo che il PIL americano è composto per 2/3 di consumi interni  di merci per lo più importate, gli Usa sono l' unico paese al mondo in cui la lobby degli importatori è molto più forte di quella degli esportatori e i primi che soffrirebbero di una vera e propria trade war sarebbero Wall Street e il CME. Il tonfo è appena iniziato: è bastato un velatissimo accenno a metà settimana da parte cinese ("China is said to plan countermeasures against US tariffs") per scatenare un sell-off piuttosto prevedibile, data anche un' altra serie di fattori che spingono in quel senso.

Alle aste di titoli di stato americani di due settimane fa (offerta molto superiore alla media, la riforma fiscale e il piano infrastrutturale di Trump pretendono il finanziamento) mi sarei aspettato che cinesi (e giapponesi, per questioni valutarie) mandassero un segnale di ritorsione, invece niente: venduto tutto. Evidentemente gli interessi offerti sono niente male e il rischio per ora valutato come contenuto.

Ma non è finita qui, la cosa andrà avanti a strappi. Quelli che per ora hanno ridotto al minimo il rischio di instabilità e di discontinuità delle politiche economiche sono proprio i cinesi. Quelli che sembrano non avere idea di come uscirne sono ovviamente gli europei, imperialisti quanto gli altri contendenti. Osservo questo schifo e mi dico che presumibilmente dovrò essere in balìa di tutto ciò finchè campo: si ride per non piangere.


Il volto feroce verso la Cina e la chiamata alle armi all’Europa. La strategia dell’amministrazione Trump continua a dipanarsi tra minacce e aperture, ora agli avversari ora agli alleati, in un succedersi di accelerazioni e brusche correzioni di rotta che mirano a spostare gli equilibri del sistema multilaterale in chiave prevalentemente anti-cinese. Anche a costo di farlo saltare.

sabato 17 marzo 2018

Foreign affairs



Se levi questi tre trovi l' Europa


Il caso Skripal sta ricompattando gli schieramenti della guerra fredda? Ma neanche per idea, semmai sta riproducendo su basi sempre più evanescenti una Nato vissuta già da un pezzo controvoglia da entrambe le sponde dell' Atlantico. Trump, ma da tempo si mandano simili segnali, vorrebbe che soprattutto i tedeschi ci mettessero i soldi (il loro contributo è 1/4 di quello americano) mentre i tedeschi vorrebbero troppe cose tutte assieme: continuare autonomamente la politica del soft power commerciale, affrancarsi dalla Nato e avere un esercito europeo a basso costo, magari annacquando la "naturale" candidatura francese alla sua leadership. Angelona, appena ricevuta ufficialmente la cancelleria, è volata a Parigi. Il patto renano fra due indecisi e temporeggiatori come Merkel e Macron sta producendo più immobilismo che reattività in uno scenario geoeconomico sempre più turbolento. Il progetto del polo imperialista europeo ha nella sua forma politica la sua strutturale debolezza.


La politica di solito quando fa salti indietro è perché deve nascondere qualcosa di indicibile che ha davanti. Il salto indietro è la surreale Guerra Fredda tra Occidente e Russia. Con un colpo di teatro da macchina del tempo, Regno Unito, Stati Uniti, Germania, una riluttante Francia (e una spiazzatissima Italia) si sono allineati in una dichiarazione di condanna della Russia che ha un solo problema: non ci sono prove che ci sia la manina di Mosca nell'avvelenamento al gas nervino di un'ex spia russa nel suolo dell'isola di Inghilterra. Vladimir Putin e Serghei Lavrov sono decisamente più navigati di Trump, May, Macron e soci e infatti il caso finora ha  prodotto il brillante risultato di rafforzare ancor di più Putin alla vigilia del voto di domenica. La Russia aveva mille occasioni per far secco il doppio giochista Sergei Skripal, farlo sparire e buonanotte a tutti,  perché mai scegliere il modo più stupido e rumoroso? Usare il gas nervino, rischiando di fallire (come è avvenuto) e in un luogo pubblico. Solo un idiota può usare un metodo simile e sperare di non destare l'attenzione delle polizie di mezzo mondo. L'ex Kgb è popolato da sagome che non sanno fare il loro lavoro sporco? Comunque, i fatti sono che Londra e a Washington sono convinti che il mandante di questo macabro e sgangherato killeraggio abiti al Cremlino e dunque i giornali hanno inzuppato il biscotto nella nuova Guerra Fredda, figuriamoci. E l'indicibile in questa storia dove sarebbe? A Est.


domenica 11 marzo 2018

Sud, Nord


Non passerà molto che anche i M5s proveranno l' ebbrezza di non riuscire a tenere insieme gli stessi segmenti sociali che li compongono, fenomeno che investe regolarmente, nel giro di sempre meno tempo, le aggregazioni che vanno al governo. I 5S  si stanno logicamente premurando.

Alla voce "interesse generale nazionale" (cioè piccolo borghese) -declinato rigorosamente in maniera generica- se la giocano loro e la Lega, ognuno in abbastanza definiti limiti geografici: il gap nord-sud non finisce di alimentare il frazionamento politico.

Purtroppo per entrambi loro quei pochi decimi di PIL e di disoccupazione recuperati ultimamente non giocano a favore, anche se conseguiti unicamente sulla scia di cause esogene e per nulla percepiti ai piani bassi. Ma il plebeo è portato  a sperare.


Scrivevo queste poche righe l' ultimo giorno dello scorso anno, un pò azzeccandoci un pò toppando nelle dimensioni della disfatta dei due principali partiti della seconda repubblica. La speranza ha portato gli italiani a votare in massa contro l' assetto istituzionale che reggeva da 25 anni. Non è cosa da poco per il moderatismo italico. Per gli astensionisti tignosi come il sottoscritto bisognerà aspettare la seconda gamba della crisi.

La domanda di assistenzialismo immediato al sud (quindi dove si sostituisce statalismo a statalismo) e flat tax assieme alla promessa di un paese più veloce al nord rappresentano bene l' accelerazione di una specifica crisi interna - all' interno di una crisi generale che ancora ha da esprimersi pienamente-. In più il miraggio della impossibile, nel concreto, abolizione della legge Fornero ha portato verso i vincenti un bel pò degli elettori anziani e di mezza età, praticamente quelli che ancora votavano PD.

Non ho trovato neanche un articolo che fosse di mio gradimento nel commentare le elezioni di una settimana fa: tutti impegnati nel poco appassionante gioco del toto-governo. Buttare immediatamente nel cesso le ragioni socio-economiche è il fiore all' occhiello dell' intellettualità nostrana, e così non rimane loro che la ragioneria politica. Quello che segue almeno prova ad aggiungere qualche motivo di sviluppo storico della piccola borghesia settentrionale e meridionale al risultato del voto.---

giovedì 8 marzo 2018

Nelle tempeste d' acciaio


Una breve Reuters che illustra quello che sta accadendo alla Casa Bianca -dimissioni Cohn per i  dazi doganali- e che dà una qualche idea su come interpretare il protezionismo trumpiano. A me più che vento di guerra sembra una telenovela: "Trump says he still likes Gary Cohn, might come back to the White House" . Il difficile equilibrio fra promesse di protezionismo ed esigenze imperiali.


NEW YORK - "Proteggo i lavoratori americani, proteggo la sicurezza nazionale": così Donald Trump ha confermato la nuova tappa della sua offensiva protezionista. I settori da difendere stavolta sono l'acciaio e l'alluminio, il presidente firma oggi il decreto che infligge sulle importazioni dall'estero un dazio doganale del 25% per il primo, del 10% per il secondo. Sceglie di usare l'articolo di legge 232 che si riferisce appunto alla sicurezza nazionale. La giustificazione: quei due metalli vengono usati in molte produzioni di armamenti (aerei militari, navi da guerra, carriarmati e missili), l'America sarebbe vicina a perdere l'autosufficienza, Trump non vuole trovarsi in una situazione in cui la produzione di materiale bellico verrebbe a dipendere da importazioni straniere.

sabato 3 marzo 2018

Oh Lord, won' t you buy me...


Nella competizione internazionale per la spartizione del plusvalore globalmente prodotto, la merce-automobile gioca un ruolo chiave, chiamata com' è ad integrare in sè una bella parte della tecnologia disponibile. Tecnologia che, come dice un noto AD, «provocherà un cambio di paradigma totale, che è destinato a cambiare il volto dei trasporti come lo abbiamo sempre inteso». Un ramo d' industria in cui l' asticella degli standard necessari per battere la concorrenza è continuamente spostata verso l' alto. Da qui la tesi che è la capacità tecnologica la autentica, nel senso di adeguata all' epoca, unità di misura dello sviluppo capitalistico di una nazione o di una corporate, il vero metro della capacità di mobilitare interi apparati sociali, di metterli al suo servizio e di estorcerne plusvalore. In altre parole è la potenza tecnologica che esprime più pienamente il concetto di potenza sociale. La cosa vale anche quando alcuni anelli della catena, magari labour intensive, quel che viene chiamato indotto, sono posizionati all' estero e hanno apparentemente bilanci societari totalmente separati. Senza andare nei paesi emergenti di tutto il pianeta, molte aziende del nord Italia sono parte a pieno titolo dell' industria automobilistica tedesca, e si prestano ben volentieri alla cessione di parte del plusvalore localmente prodotto a favore del committente, che almeno sempre nuove auto è capace di produrle e venderle. Nell' articolo si dà una interessante occhiata sul settore---


I tempi cambiano. Fino a qualche anno fa era la California, con i suoi standard sempre più stringenti sulle emissioni , a dettare i tempi dell’evoluzione tecnologica del settore auto americano. E dettandoli all’America li dettava al mondo. Intere carriere politiche sono state costruite a Sacramento sulle normative ambientali. Non più. Oggi è la Cina a dettare il passo al mondo. Importatore di petrolio, la Cina ha negli ultimi anni dato un forte impulso al nucleare e alle rinnovabili e ha ora abbondanza di elettricità. Buttandosi massicciamente sull’auto elettrica e imponendo ritmi velocissimi per la transizione, la Cina conta di diventare leader mondiale non solo del settore (lo è già, producendo da sola quanto America e Europa insieme), ma dell’innovazione del settore. E per inciso offre una conferma della tesi per cui è lo sviluppo, e non la decrescita, a favorire le condizioni per la difesa dell’ambiente. Geely Auto, il gruppo cinese che è entrato a gamba tesa nel cuore dell’industria tedesca comprandosi un decimo di Daimler, produrrà solo elettrico a partire dal 2020. Great Wall Motors si prepara a un’alleanza sull’elettrico con Bmw. Il lusso, nell’auto, è il solo settore in cui i cinesi hanno ancora da imparare qualcosa, da qui l’interesse per l’auto tedesca. 

sabato 3 febbraio 2018

Escursionismo proletario



                                                                             
Quando non si decide nulla d' importante, decidere può sembrare decidere di farsi una pera, così va e non c'è da farci sopra alcuna sociologia. Quella la fanno già i cronisti che a volte, giustamente, vengono presi a sassate

C'è semmai da chiedersi come sarebbe se, invece di ingoiare un rospo dopo l' altro, procedessimo all' atto di dire basta

La rivoluzione sociale al momento sembra cacciata pure dall' immaginario, realta' aumentata. Eppure --

Eppure niente, finirà male

venerdì 26 gennaio 2018

Le figure del USD

Dumping doganale di Trump su pannelli solari cinesi e lavatrici coreane [al netto degli stabilimenti già presenti o in costruzione negli USA da parte di LG e Samsung], il dollaro lasciato a deprezzarsi un pò troppo rapidamente per essere la valuta di riferimento di tutti i commerci mondiali (6 figure in un mese, da 1,185 a 1,245 per eur/usd, lo stesso rispetto al paniere delle altre principali monete).

A scatenare i movimenti sul mercato delle divise, il più liquido e fastoso che ci sia, sono state le dichiarazioni rilasciate due giorni fa dal segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin e dal segretario al Commercio Usa, Wilbur Ross. “Ovviamente un dollaro più debole è positivo per noi, in termini di commercio e di opportunità”, ha detto Mnuchin parlando ai giornalisti, a Davos, aggiungendo poi che il trend di breve termine della valuta “non ci preoccupa per niente”. Ross ha rincarato la dose e sempre da Davos ha minimizzato lo stesso pericolo delle guerre commerciali. “Le guerre commerciali vengono combattute ogni giorno. E una guerra commerciale c’è già da un po’. La differenza è che gli USA sono passati al contrattacco”.

Non posso fare a meno di apprezzare la franchezza americana, dove il capitalismo è guerra senza regole fra capitali con interessi contrapposti, senza le tante storie che si raccontano -gli europei in particolare.

Non c'è che dire, la guerra valutaria e commerciale tra blocchi imperialisti è ripresa alla grande, stracciando la continuazione del tacito accordo preso al G-20 di Shangai nel febbraio di due anni fa, quello che fu descritto come Grand Bargain, a cui si deve in parte la corale ripresa di tutti gli indici finanziari planetari.  Accordo peraltro rinnovato non più di due mesi fa a Washington alla riunione del FMI. La smorfia quasi scocciata di Draghi ieri alla conferenza stampa, dopo una specifica domanda sulle dichiarazioni di Ross e Mnuchin, era  quanto di più espressivo ho mai visto sulla sua faccia da rettile.---