Le cose stanno andando avanti più per inerzia che per strategia, con tutta evidenza in campo economico e la politica non può essere da meno. Questo articolo edito su Aspenia ci spiega meglio le contraddittorie e obbligate linee di tendenza -colte nel vertice politico mondiale- imposte dalla stagnazione economica, il punto morto in cui il mondo borghese si sta impaludando.---
Le resistenze che il TTIP ha incontrato negli ultimi mesi in Unione Europea manifestano un nuovo malessere nei confronti del libero scambio, assurto a principale argomento controverso nei dibattiti politici. Un sentimento che non appare limitato al vecchio continente, ma che si ripete in forme più o meno uguali anche negli Stati Uniti. Testimoniando una lotta trasversale tra i vincitori e i perdenti della globalizzazione.
Se in Europa l’oggetto del contendere è il TTIP (il progetto di Transatlantic Trade and Investment Partnership, ancora in fase di negoziato), negli USA questo ruolo è assegnato al suo ‘fratello maggiore’, il TPP (Trans-Pacific Partnership), siglato dagli Stati Uniti lo scorso febbraio (dopo sette anni di negoziati) con altri 12 paesi dell’area del Pacifico, compresi Canada e Giappone. Il trattato, che una volta entrato in vigore avvicinerebbe paesi che compongono il 40% del pil mondiale in una macro-regione fondamentale per il futuro del pianeta, è visto dall’amministrazione Obama con particolare favore: agli occhi della Casa Bianca, il TPP doveva essere uno dei principali lasciti dei due mandati presidenziali, in quanto strumento principe per portare a termine il tanto decantato pivot to Asia – una versione meno muscolosa del contenimento della Cina. Si tratta di affidare un ruolo strategico di primo piano al libero scambio, visto come strumento alternativo alla forza militare per puntellare l’ordine mondiale a guida statunitense anche nel nuovo secolo.
Se in Europa l’oggetto del contendere è il TTIP (il progetto di Transatlantic Trade and Investment Partnership, ancora in fase di negoziato), negli USA questo ruolo è assegnato al suo ‘fratello maggiore’, il TPP (Trans-Pacific Partnership), siglato dagli Stati Uniti lo scorso febbraio (dopo sette anni di negoziati) con altri 12 paesi dell’area del Pacifico, compresi Canada e Giappone. Il trattato, che una volta entrato in vigore avvicinerebbe paesi che compongono il 40% del pil mondiale in una macro-regione fondamentale per il futuro del pianeta, è visto dall’amministrazione Obama con particolare favore: agli occhi della Casa Bianca, il TPP doveva essere uno dei principali lasciti dei due mandati presidenziali, in quanto strumento principe per portare a termine il tanto decantato pivot to Asia – una versione meno muscolosa del contenimento della Cina. Si tratta di affidare un ruolo strategico di primo piano al libero scambio, visto come strumento alternativo alla forza militare per puntellare l’ordine mondiale a guida statunitense anche nel nuovo secolo.