I cinesi sembrano gli ultimi apologeti della globalizzazione nella versione win-win, nel mentre brexit, il sovranismo europeo, il Brasile, quel che può il Giappone e in particolare la politica trumpiana -che mira a mantenere l' egemonia con il minimo di manutenzione ordinaria riducendone al contempo i costi- rimandano ad un ripescaggio della economia inter-nazionale a guida geopolitica.
Sicuramente dopo gli anni dei G8 e G20 post-2008, quando nulla è successo rispetto all' aspetto finanzario della crisi, si è preso atto dell' impossibilità di una politica collegiale che controlli e contenga le interconnessioni e le scorribande dei flussi finanziari globali. Un intervento auspicato ma totalmente onirico all' interno della accesissima competizione per l' accaparramento di quote di quel plusvalore prodotto -con sempre maggior difficoltà- sul pianeta. Capitalismo come lotta fra capitali contrapposti.
La crisi persiste neanche tanto sotto pelle, nonostante gli USA in particolare abbiano imbroccato un ciclo espansivo ma difficile da stabilizzare (cruciale sarà il soft-landing monetario) e ancora più da far ricadere ai piani bassi dell' edificio sociale. Per il resto del capitalismo maturo qualche punto base di crescita del PIL non è che un cerotto messo a tappare un' emorragia, a frenare le paure di ceti medi terrorizzati di vedersi tolti gli agi residuali, una rimanenza di distinzione da un proletariato che è rimasto nell' indigenza e nella disoccupazione. Vanno ancora a votare, pensando solo ai torti subiti. L' ironia è che tutto sommato si va avanti per ora quietamente.
Ma torniamo al Celeste Impero e al suo mastodontico progetto infrastrutturale BRI. Un progetto che tutti accreditano come la prosecuzione delle politiche export oriented che hanno fatto della Cina la fabbrica del mondo. Invece mi pare che sia via via sempre più un progetto che ha un impronta di natura geopolitica. Ma in fondo che differenza fa, l' imperialismo è uno e trino.
"L’Europa e la Cina, già dieci anni fa, avevano lo stesso problema, quello di avere sistemi economici basati sulle esportazioni. La dirigenza cinese, più intelligente, flessibile e illuminata, ha sempre avuto piena consapevolezza della fragilità di un modello di questo tipo, ha ancora tirato la corda per qualche anno per sistemare le sue cose e poi ha avviato un processo di ribilanciamento dalle esportazioni ai consumi che ha ridotto il suo surplus delle partite correnti a un modesto 1.2 per cento." Le dinamiche che spingono verso la terziarizzazione sono sostenute, incentivate e per quanto possibile accelerate.
E allora perchè perseguire questo gigantesco progetto -nonostante l' aria di recessione tiri anche da loro- a partire proprio dal 2015, quando la fuoriuscita contemporanea di masse di capitali esteri provocò un mezzo crash finanziario ? La dirigenza cinese ha chiaramente tutta l'intenzione di bypassare il controllo americano sulle rotte commerciali del sud-est asiatico, raddoppiandole via terra, e di attrarre nella propria sfera finanziaria tutta l' area interessata dai flussi, così assicurati, delle proprie merci e delle varie supply chain, comprese le forniture di competenze, beni e materie prime. Una visione di lungo periodo che sembra non aver paura di affrontare quel vasto e instabile insieme di scacchieri. Un atteggiamento che non mancherà di essere confrontato con quello americano.---
In un arco temporale di soli
trent’anni, con un modello di crescita basato sui suoi vantaggi
comparati e fortemente vocato agli investimenti e alle esportazioni, la
Cina è stata protagonista di un rapido sviluppo da paese agricolo povero
a potenza industriale globale, diventando nel 2010 la seconda economia
del pianeta. Dopo la crisi finanziaria internazionale del 2008,
tuttavia, e di fronte alla frenata dell’economia globale, molti paesi,
compresa la Cina, hanno cercato nuove soluzioni per stimolare o
sostenere la crescita. In effetti, in un mondo post-Trump e post-Brexit
nel quale l’America e il Regno Unito stanno entrambi – concretamente o
simbolicamente – puntando a sganciarsi dalla globalizzazione,
l’aspettativa diffusa è che Pechino svolga un ruolo più importante
nell’economia globale. L’economia cinese oggi vale qualcosa come 12.000
miliardi di dollari, e negli ultimi anni ha contribuito a circa un terzo
della crescita economica mondiale.