domenica 24 marzo 2019

L' isola dei rifiuti

Anch' io, in un impeto mondano, do il mio contributo alla lotta contro il cambiamento climatico. Un pò mi vergogno, rispetto ai consumi personali sono sempre stato parecchio rilassato e, stante il fatto che non ho aspettato la crisi per non arrivare a fine mese, mi piace esagerare e non riesco ad avere per nulla la schiena diritta: tutto quello che il capitalismo produce a mio avviso va provato, assaggiato, toccato, visto ecc. Insomma sono corrotto fino al midollo e poco sensibile alla sobrietà e ai richiami ad un mondo più pulito.  Epperò non mi può non tornare in mente che la ricchezza, nel attuale modo di produzione, si presenta come un' immane raccolta di merci. Fatto il salto mortale, realizzato il loro valore sociale di scambio, probabilmente consumato il loro valore d' uso, eccole qui che ne tornano gli esoscheletri vuotati; le correnti oceaniche li hanno riuniti in una sterminata indistruttibile  colonia. 


Molti forse ignorano la sua esistenza: la grande "isola di plastica" del Pacifico è un enorme accumulo di spazzatura galleggiante (composto soprattutto da plastica) situato nell'Oceano Pacifico, che secondo le ultime stime continua a crescere in maniera inarrestabile. Le navi e gli aerei della fondazione olandese Ocean Cleanup l’hanno percorsa in lungo e in largo e hanno contato 80mila tonnellate di frammenti in un’area grande tre volte la Francia. La massa di spazzatura e plastica, concentrata dalle correnti, approssimativamente fra il 135º e il 155º meridiano Ovest e fra il 35º e il 42º parallelo Nord, è rappresentata dalla superficie di oceano in cui la concentrazione di rifiuti supera il chilogrammo al chilometro quadro e, fattore preoccupante, è 16 volte più alta rispetto a quanto si stimasse fino a ieri.

domenica 10 marzo 2019

Surprise index

Stamattina, nella mia personale veloce rassegna stampa dei pochissimi blog che leggo regolarmente, mi ha irritato trovare già affrontati tutti quei temi a cui vagheggiavo dedicare questo post di oggi: transizione verso il nuovo modo di produzione, Algeria - paese verso cui nutro una attenzione storica particolare, ed i sempre più frequenti rumors su un prossimo crash degli high yield corporate bond - segnalato a suo tempo. Tipico arrivare tardi e trovarsi spiazzato.

Va bè, lasciamo stare la malinconia,  e badate a non investire i vostri sudaticci risparmi negli strumenti sbagliati. La ascoltatissima BIS (Bank of International Settlements), dopo IMF e altri, ha lanciato un allarme sulle obbligazioni societarie ad alto rendimento ( e rischio) che per il solo mercato americano valgono un bel mucchietto di dollaroni, somme che hanno del fantasmagorico e a cui il piccolo borghese guarda contemporaneamente con l' occhio scandalizzato e l' acquolina in bocca: 6,4 miliardi di miliardi. Parrebbe che circa 1 di questi 6,4 triliardi di bond societari, alla prima scossa recessiva americana, verrebbe declassato dal rating "investment grade" a "junk".  Se così fosse gli investitori istituzionali dovrebbero venderli perchè per statuto non possono detenerli in portafoglio, dando così la via alla rovinosa slavina del repricing.

domenica 3 marzo 2019

De ceto medio




Interessante articolo, da me sforbiciato delle premesse e conclusioni, del ricercatore sociale Salvatore Cominu apparso su Infoaut che, tralasciando di considerare le persistenti forzature concettuali del filone operaista ( la primazia del piano, nel senso di pianificazione, politico su quella economico, la sottolineatura esagerata dell' influenza delle passate lotte operaie ecc) mi sembra permetta di porsi in un buon angolo per osservare la precedente ascesa e l' odierna crisi del ceto intermedio all' interno di quella  presunta dinamica che molti chiamano di polarizzazione sociale.---

[...] Non è che sia molto soddisfatto della categoria di crisi del ceto medio, mi dice molto poco, anche perché se noi prendessimo documenti degli anni ‘50, degli anni ‘70, potremmo dedurne che il ceto medio sia da sempre in crisi; sia sempre descritto come attraversato da processi che, soprattutto da parte nostra, sono stati letti come proletarizzazione, impoverimento, processi che in qualche modo lo avvicinavano al nostro campo. Preferisco fare riferimento, per la lunga stagione che va dagli anni ‘50 agli anni ‘80 del secolo scorso in Italia, di un grande periodo di cetomedizzazione, un espressione di De Rita, tra l’altro trovo molto brutta, però ha anche dei meriti, il primo dei quali è quello di evidenziare il carattere processuale e in divenire, il “ farsi” del ceto medio in diversi settori della società italiana.