Da Angelona Merkel, alla Hannover Messe, è arrivato un Obama a fine mandato a discutere di scottanti questioni, prima e prioritaria fra tutte il TTIP che, assieme allo speculare TTP, erano i due cardini della politica estera del Presidente USA. Se il TTP pone un cordone sanitario a contenere l' espansionismo cinese nel Pacifico, il Ttip cerca di limitare commercialmente oltre ai cinesi anche il gigante russo ora in difficoltà. Ma più che l'imperialismo americano, legittimo come quello di tutti gli altri, sono i tempi di crisi nera dei profitti che sembrano farla da padrone su alcune scelte che la Germania dovrà fare in tempi stretti. In Ucraina come altrove la situazione può evolversi molto velocemente.
Le questioni sono tutt' altro che chiare: secondo un
sondaggio della Bertelsmann Stiftung, il sostegno dei tedeschi a favore
del Ttip -il trattato transatlantico di libero scambio- e del libero
scambio in generale è crollato in due anni rispettivamente dal 55% al
34% e dall’88% al 56%. Questo la dice lunga sulla posizione scomoda di una Angela Merkel che si deve barcamenare tra una sempre meno scontata fedeltà atlantica, al netto di intercettazioni e big data, e una nuova collocazione europea e mondiale della sua Germania. E poi c'è la concessione dello status di economia di mercato alla Cina, su cui l'indecisione è tanta.
Insomma un guaio dietro l'altro e, considerando anche le questioni più strettamente europee -debito dei paesi latini, brexit (una bufale propagandistica più che altro), polemiche con la BCE ecc- forse il progetto originario di kerneurope di Schäuble (un gruppo core di paesi allineati agli standard economico sociali tedeschi, l’Europa del nocciolo duro, a cui far seguire, in quale modo non lo sanno, un serpentone di economie progressivamente meno virtuose) potrebbe essere l' unica via praticabile, dopo le elezioni politiche dell'anno prossimo. Eppure una soluzione come questa non raggiungerebbe assolutamente la massa critica di capitali necessaria per l' attuale livello della competizione mondiale. A Berlino lo sanno ma pare non vogliano assumersi l'onere delle tensioni che la loro stessa proiezione economica internazionale suscita, aspirerebbero a rimanerne al riparo senza esporsi troppo.
Questo recente articolo di Fabrizio Maronta riassume bene i termini economici e politici dei due trattati transoceanici, ponendo l'accento sul calo impressionante degli investimenti diretti esteri (anche se recentemente c'è stata una piccola accelerazione) e del totale degli scambi commerciali. L' autore sintetizza la situazione nella frase: "L’uso del commercio in chiave geopolitica abbisogna di un presupposto fondamentale: che vi sia di che spendere". In realtà il presupposto è che vi sia da guadagnare.
1. Correva l'anno 2001, 11 dicembre. Esattamente tre mesi prima gli attentati di New York e Washington avevano innescato una catena di reazioni destinate ad alterare profondamente gli equilibri globali. Ma al Centro William Rappard di Ginevra, sede dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto nell’acronimo inglese), andava in scena un evento non meno gravido di conseguenze. Quel giorno la Cina diveniva ufficialmente il 143° Stato membro della Wto e un negoziatore europeo, evidentemente conscio dell’enormità del fatto, si chiedeva se fosse «la Cina a entrare nella Wto o la Wto ad aderire alla Cina».