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venerdì 26 gennaio 2018

Le figure del USD

Dumping doganale di Trump su pannelli solari cinesi e lavatrici coreane [al netto degli stabilimenti già presenti o in costruzione negli USA da parte di LG e Samsung], il dollaro lasciato a deprezzarsi un pò troppo rapidamente per essere la valuta di riferimento di tutti i commerci mondiali (6 figure in un mese, da 1,185 a 1,245 per eur/usd, lo stesso rispetto al paniere delle altre principali monete).

A scatenare i movimenti sul mercato delle divise, il più liquido e fastoso che ci sia, sono state le dichiarazioni rilasciate due giorni fa dal segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin e dal segretario al Commercio Usa, Wilbur Ross. “Ovviamente un dollaro più debole è positivo per noi, in termini di commercio e di opportunità”, ha detto Mnuchin parlando ai giornalisti, a Davos, aggiungendo poi che il trend di breve termine della valuta “non ci preoccupa per niente”. Ross ha rincarato la dose e sempre da Davos ha minimizzato lo stesso pericolo delle guerre commerciali. “Le guerre commerciali vengono combattute ogni giorno. E una guerra commerciale c’è già da un po’. La differenza è che gli USA sono passati al contrattacco”.

Non posso fare a meno di apprezzare la franchezza americana, dove il capitalismo è guerra senza regole fra capitali con interessi contrapposti, senza le tante storie che si raccontano -gli europei in particolare.

Non c'è che dire, la guerra valutaria e commerciale tra blocchi imperialisti è ripresa alla grande, stracciando la continuazione del tacito accordo preso al G-20 di Shangai nel febbraio di due anni fa, quello che fu descritto come Grand Bargain, a cui si deve in parte la corale ripresa di tutti gli indici finanziari planetari.  Accordo peraltro rinnovato non più di due mesi fa a Washington alla riunione del FMI. La smorfia quasi scocciata di Draghi ieri alla conferenza stampa, dopo una specifica domanda sulle dichiarazioni di Ross e Mnuchin, era  quanto di più espressivo ho mai visto sulla sua faccia da rettile.---

lunedì 12 settembre 2016

Dalla Cina a Marte


Dal sito dell' economista "marxista" Michael Roberts, per fortuna trovato già tradotto, il resoconto delle conflittualità sottotraccia che traspaiono e che tengono in scacco la classe politica mondiale, a livelli che sfiorano, come qui illustrato, il cinema di Bunuel---


La riunione di fine settimana (4-5 settembre) dei capi di Stato delle prime 20 economie del mondo (G20)  che si è svolta nel resort cinese di Hangzou, ha concluso che l'economia globale si trova ancora nei guai. Il Fondo Monetario Internazionale (IMF) aveva calcolato che il 2016 sarà il quinto anno consecutivo in cui la crescita globale sarà il 3,7% al di sotto della media registrata nel periodo fra il 1990 ed il 2007. E poco prima del vertice del G20, l'IFM ha presentato una relazione che prevede una crescita ancora più lenta di quella prevista:

«I dati ad alta frequenza indicano una crescita meno accentuata per quest'anno, soprattutto nelle economie avanzate del G-20, mentre l'andamento dei mercati emergenti è più vario». 

lunedì 25 aprile 2016

I due trattati transoceanici



Da Angelona Merkel, alla Hannover Messe, è arrivato un Obama a fine mandato a discutere di scottanti questioni, prima e prioritaria fra tutte il TTIP che, assieme allo speculare TTP, erano i due cardini della politica estera del Presidente USA. Se il TTP pone un cordone sanitario a contenere l' espansionismo cinese nel Pacifico, il Ttip cerca di limitare commercialmente oltre ai cinesi anche il gigante russo ora in difficoltà.  Ma più che l'imperialismo americano, legittimo come quello di tutti gli altri, sono i tempi di crisi nera dei profitti che sembrano farla da padrone su alcune scelte che la Germania dovrà fare in tempi stretti. In Ucraina come altrove la situazione può evolversi molto velocemente.

Le questioni sono tutt' altro che chiare: secondo un sondaggio della Bertelsmann Stiftung, il sostegno dei tedeschi a favore del Ttip -il trattato transatlantico di libero scambio- e del libero scambio in generale è crollato in due anni rispettivamente dal 55% al 34% e dall’88% al 56%. Questo la dice lunga sulla posizione scomoda di una Angela Merkel che si deve barcamenare tra una sempre meno scontata fedeltà atlantica, al netto di intercettazioni e big data, e una nuova collocazione europea e mondiale della sua Germania. E poi c'è la concessione dello status di economia di mercato alla Cina, su cui l'indecisione è tanta.

Insomma un guaio dietro l'altro e, considerando anche le questioni più strettamente europee -debito dei paesi latini, brexit (una bufale propagandistica più che altro), polemiche con la BCE ecc- forse il progetto originario di kerneurope di Schäuble (un gruppo core di paesi allineati agli standard  economico sociali tedeschi, l’Europa del nocciolo duro, a cui far seguire, in quale modo non lo sanno, un serpentone di economie progressivamente meno virtuose) potrebbe essere l' unica via praticabile, dopo le elezioni politiche dell'anno prossimo. Eppure una soluzione come questa non raggiungerebbe assolutamente la massa critica di capitali necessaria per l' attuale livello della competizione mondiale. A Berlino lo sanno ma pare non  vogliano assumersi l'onere delle tensioni che la loro stessa proiezione economica internazionale suscita, aspirerebbero a rimanerne al riparo senza esporsi troppo.

Questo recente articolo di Fabrizio Maronta riassume bene i termini economici e politici dei due trattati transoceanici, ponendo l'accento sul calo impressionante degli investimenti diretti esteri (anche se recentemente c'è stata una piccola accelerazione) e del totale degli scambi commerciali. L' autore sintetizza la situazione nella frase: "L’uso del commercio in chiave geopolitica abbisogna di un presupposto fondamentale: che vi sia di che spendere". In realtà il presupposto è che vi sia da guadagnare.


1. Correva l'anno 2001, 11 dicembre. Esattamente tre mesi prima gli attentati di New York e Washington avevano innescato una catena di reazioni destinate ad alterare profondamente gli equilibri globali. Ma al Centro William Rappard di Ginevra, sede dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto nell’acronimo inglese), andava in scena un evento non meno gravido di conseguenze. Quel giorno la Cina diveniva ufficialmente il 143° Stato membro della Wto e un negoziatore europeo, evidentemente conscio dell’enormità del fatto, si chiedeva se fosse «la Cina a entrare nella Wto o la Wto ad aderire alla Cina».

mercoledì 30 dicembre 2015

Lo sviluppo ineguale e combinato dei BRICS

"...Un paese arretrato assimila le conquiste materiali e intellettuali dei paesi avanzati. Ma ciò non significa che li segua servilmente, ripercorrendo le fasi del loro passato. La teoria del ripetersi dei cicli storici -propria del Vico e dei suoi discepoli- si basa sull' osservazione dei cicli compiuti dalle vecchie culture precapitalistiche e in parte sulle prime esperienze dello sviluppo capitalistico. Il carattere provinciale ed episodico di tutto questo processo comportava effettivamente un certo ripetersi delle fasi culturali in centri sempre nuovi. Ma il capitalismo segna il superamento di tali condizioni. Esso ha preparato e, in un certo senso, realizzato l'universalità e la continuità del progresso umano. Di conseguenza, resta esclusa la possibilità di un ripetersi delle forme di sviluppo da parte di paesi diversi. Costretto a mettersi a rimorchio dei paesi avanzati, un paese non segue lo stesso ordine di successione: il privilegio di una situazione storicamente arretrata -poichè esiste tale privilegio- autorizza o, più esattamente, costringe un popolo ad assimilare tutto quello che è stato fatto prima di una determinata data, saltando una serie di fasi intermedie. I selvaggi rinunciano all' arco e alle frecce per prendere immediatamente il fucile, senza ripercorrere la distanza che nel passato ha separato queste due armi. Gli europei che colonizzavano l' America, non riprendevano la storia dall' inizio. [...] Lo sviluppo di un paese storicamente arretrato porta necessariamente a una combinazione originale delle diverse fasi del processo storico. L' orbita acquista, nel suo insieme, un carattere irregolare, complesso, combinato. la possibilità di saltare le fasi intermedie, va da sè, non è affatto assoluta: in ultima analisi, è limitata dalle capacità economiche e culturali del paese.[...] La legge razionale della storia non ha nulla a che vedere con schemi pedanteschi. L' ineguaglianza dello sviluppo, che è la legge più generale del processo storico, si manifesta con maggior vigore e complessità nelle sorti dei paesi arretrati. Sotto la sferza delle necessità esterne, lo loro cultura in ritardo è costretta ad avanzare a salti. Da questa legge universale della ineguaglianza deriva un' altra legge che, in mancanza di una denominazione più appropriata, può essere definita legge dello sviluppo combinato e vuole indicare l' accostarsi di diverse fasi, il combinarsi di diversi stadi, il mescolarsi di forme arcaiche con le forme più moderne."

Ennesima finestra sui paesi BRICS a valutarne la posizione nelle charts mondiali dello sviluppo economico e politico. Emerge che le posizioni nel 2015 si sono ulteriormente differenziate. La gestione della crisi internazionale dei profitti è una brutta gatta da pelare: se la cavano peggio i più ricchi di materie prime; meglio chi si è dimostrato, facendo di certa debolezza la propria forza, più abile e sottile nella risposta organizzativa di carattere politico.


Il 2015 ha visto un allargamento delle fessure all’interno dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), che nei primi anni della crisi finanziaria iniziata nel 2008 si erano staccati come un gruppo compatto con elevati tassi di crescita, valute forti rispetto a quelle dei paesi del nord Atlantico, e richiesta di maggiore voce nelle decisioni di politica economica internazionale.

La crescita economica in alcuni di questi paesi secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale è rimasta nel 2015 superiore alla media dei paesi avanzati (2%). Tuttavia, a un’India fortemente dinamica (+7,3%) e a una Cina che cresce a ritmi più contenuti che in passato, ma comunque elevati (6,8%), si contrappongono il significativo rallentamento del Sudafrica (1,4%), e cali della produzione in Brasile (-3%) e Russia (-3,8%), nonostante politiche fiscali essenzialmente espansive. Dall’estate del 2014 la valuta brasiliana è calata del 42%, il rublo del 46%, il rand sudafricano del 22%, e anche le autorità cinesi sono intervenute per invertire la graduale e pilotata rivalutazione dello yuan che aveva caratterizzato gli ultimi anni. Come conseguenza del rafforzamento del dollaro e del recente aumento dei tassi d'interesse da parte della banca centrale degli Stati Uniti, il 2015 sarà il primo anno dai lontani anni Ottanta in cui il saldo complessivo dei movimenti di capitale rischia di essere negativo per i paesi emergenti. Il ventaglio dei tassi di crescita e delle condizioni di stabilità macroeconomica tra i paesi emergenti di spicco si è quindi allargato, venendo ad assomigliare in misura maggiore alla diversificazione all’interno dei paesi Ocse, che vedono gli Stati Uniti e il Regno Unito in crescita, sia pure con politiche monetarie debolmente restrittive, l’area euro con una performance mista, e il Giappone ritornare a tassi di crescita che restano deboli nonostante la continua espansione monetaria.

domenica 6 dicembre 2015

Update sulla guerra valutaria: l' investitura dello yuan


La guerra delle valute è oggi il territorio dove si svolgono le principali competizioni inter imperialistiche fra le più grosse ed omogenee condensazioni di Capitale. Al contrario della "virtualità" erroneamente attribuita alla finanza e, per esteso, alle politiche monetarie, qui si  rimanda molto concretamente alla sottostante spartizione del plus-valore industriale prodotto su scala planetaria. Da tempo il Capitale ad alta composizione tecnologica sussume ed estrae valore internazionale da capitali più grezzi e rudimentali "semplicemente" scambiando una valuta più forte (più riconosciuta nel mercato mondiale, stabile, icona di una società pienamente integrata, capitalizzata) con merce  -o con debito, nei paesi dollarizzati, per esempio. ---


La Cina è cresciuta. Con l’inclusione dello yuan, da parte del Fondo monetario internazionale (Fmi), nel paniere delle valute di riserva a livello globale, Beijing è finalmente diventata grande. Ma la scelta del Fmi arriva però in ritardo. Proprio alla vigilia di quello che sarà forse il periodo più duro per l’economia cinese, arriva il riconoscimento formale da parte della comunità internazionale. L’obiettivo di Pechino era ed è uno solo: gestire il ribilanciamento dei fattori produttivi a livello domestico.