sabato 30 luglio 2016

Imperialismo uno e trino


Lungo articolo del economista Guglielmo Carchedi in cui si riassumono le tesi (puntuali riletture interpretate dei testi marxiani) che  va diffondendo in libri e convegni a partire dalla grossa crisi del 2007 (2008 per chi se ne è accorto tardi). Unico appunto che posso muovergli è che a mio avviso il leniniano "stadio supremo del capitalismo" va inteso in senso teoretico e non di configurazione geopolitica, quindi proprio nel senso di "imperialismo come totalità compiuta del capitalismo", posto e accettato che la sua radice sociale e antagonistica presuppone tutto il mondo come luogo della competizione, del conflitto tra capitali contrapposti per interesse. Se penso alle stronzate sul avvento del  finanz-capitalismo (post 1989, ci mancherebbe) e sulla perduta sovranità democratica nazionale che vanno propinando i vari Fusaro e Freccero o, agli antipodi, sulla scomparsa delle aggregazioni nazionali dei Toni Negri,  mi scappa da ridere e mi dico quanta strada c'è ancora da fare -e quanto coraggio ci vorrà per andare.---


I. Con la disfatta storica del movimento operaio, la parola ‘imperialismo’ è scomparsa dal vocabolario della sinistra ed è stata rimpiazzata da ‘globalizzazione’. Tuttavia, se la parola è scomparsa, la realtà persiste.

venerdì 29 luglio 2016

Let's Trump !


Alcuni estratti da un interessante articolo comparso sul ultimo numero di Lotta Comunista. In particolare segnalo la breve e significativa analisi dei flussi elettorali a partire dalla presidenza Nixon. Dedicato al "testimone di Geova della rivoluzione" che si è fatto 5 piani a piedi per portarmelo in cambio del solito misero obolo---


James Baker, 86 anni, dal 1981 al 85 capo dello staff di Ronald Reagan, poi ministro del Tesoro fino all 88, segretario di Stato fino al '92 e infine capo dello staff del presidente Bush sr fino al 1993, vecchio repubblicano che conosce bene i meccanismi di funzionamento del governo, in un' intervista al FT del 3 giugno così si esprime sui candidati presidenziali: "Cosa dicono in campagna elettorale e cosa fanno una volta alla Casa Bianca non sono la stessa cosa. Io non mi preoccupo di chi vince."
 

domenica 10 luglio 2016

La fantomatica coscienza di classe (8)





Non esiste il partito dei proletari perchè non esiste la classe, esiste la realtà sociologica del proletariato così come generata dai processi capitalistici e recepita senza battere ciglio dai subordinati.

Il riconoscimento immediato della classe operaia come nucleo d'avanguardia del proletariato mondiale non è più tale da tempo nei paesi a capitalismo maturo e per ora neanche dove la realtà industriale ha avuto una relativamente recente e prodigiosa accelerazione.

Per cui, venendo a noi, il proletariato è per ora la classe di chi presta le proprie facoltà per necessità ma tra un operaio agricolo e un ricercatore precario, tra un lavoratore del terziario arretrato e un impiegato pubblico per ora non ci sono comuni interessi e meno che mai una comune appartenenza di classe - da declinare in negativo, questa appartenenza: il concetto è assai pericoloso se estroflesso in positivo.

Eppure tra chi fa lavori produttivi di plusvalore e chi invece, la maggioranza, improduttivamente trae uno stipendio dalla circolazione monetaria oggi c'è già la connessione -obbligata dal processo della valorizzazione- che sta nel lavoro sociale astratto, dal ingegnere passando all' operaio e finendo alla baby sitter.

Inserire i propri interessi e definire la propria posizione rispetto al Capitale nella reale genericità del lavoro sociale astratto ci obbligherebbe a ridefinire chi siamo e in particolare quale è la posta in gioco alla luce di milioni di vite spese non per un mestiere ma per tanti quantum di lavoro in cambio di una assicurata merdosa miseria -materiale e mentale.

Come se si potesse vivere in pace, a non decidere se essere carne o pesce.

venerdì 1 luglio 2016

La fantomatica coscienza di classe (7)


"Nel maestro, il nuovo e  significativo si sviluppa in mezzo al letame delle contraddizioni; egli ricava violentemente la legge dai fenomeni contraddittori. Le contraddizioni stesse che stanno alla base testimoniano la ricchezza del fondamento vivo da cui egli ricava la sua teoria. Per il discepolo la cosa è diversa. La sua materia prima non è più la realtà, ma la nuova forma teoretica in cui il maestro l’ha sublimata. Sia l’opposizione teoretica degli avversari della nuova teoria, sia il rapporto spesso paradossale di questa teoria con la realtà, lo spronano al tentativo di confutare la prima e di eliminare, spiegandolo, il secondo. In questo tentativo si avviluppa esso stesso in contraddizioni, e mentre cerca di risolverle egli manifesta l’ iniziale dissoluzione della teoria, di cui è il rappresentante dogmatico"

Per anni mi sono arrovellato sul perchè gli epigoni marxiani sono stati, tranne pochi, così al di sotto dei maestri, poi il dilemma l'ha risolto Marx stesso.

La cosa vale per gli intellettuali velatamente o meno portavoci della borghesia, quale che sia la fazione (economica, politica, culturale) a cui fanno riferimento. Uno sguardo a volo d' angelo (perchè di sguardo umano e non di uccello c'è bisogno) su questa disumanità radicale gli è precluso essendo essi stessi, falchi e colombe, progressisti o fieramente reazionari, epigoni oramai secolarizzati che si rispondono tra loro e non più alla realtà complessiva. La schiettezza degli osservatori classici, i maestri, è persa per sempre.

Bisogna fare da sè, la questione degli intellettuali è così marcia da risultare noiosa, conquistare uno sguardo nuovo non è appunto questione puramente culturale, d' istruzione o di intelligenza.