Propongo qui un articolo di Oscar Giannino circa il referendum sulla brexit pubblicato un paio di giorni prima il 23 giugno, in cui è sottolineato il realismo con cui, soprattutto, ma anche prima, a partire dall' era Thatcher, il Regno Unito ha affrontato il tema dell' unificazione europea rispetto alla narrazione dell' europeo regno della pace perpetua, scampato il pericolo di una guerra nucleare che ci avrebbe visto esattamente nel mezzo.
Com'è noto Giannino è uno strenuo difensore del libero mercato e, se parla di Italia o di EU (Stato e Super-stato), lo fa sempre nei termini di ingerenza della burocrazia politica sull'economia la quale così non riesce ad esprimere pienamente il suo potenziale in termini di crescita.
Com'è noto Giannino è uno strenuo difensore del libero mercato e, se parla di Italia o di EU (Stato e Super-stato), lo fa sempre nei termini di ingerenza della burocrazia politica sull'economia la quale così non riesce ad esprimere pienamente il suo potenziale in termini di crescita.
Concordo fino ad un certo
punto: in questa settimana si è molto discusso di stato e sovrastato (identificato con la finanza internazionale e con l'UE sua portavoce). Io rifiuto il derby stato-mercato e considero che lo sviluppo storico capitalistico è sempre un
rimando reciproco di dirigismo organizzativo statale e di capitali privati
che, lungi dal contrapporsi allo stato, cercano di lavorarselo affinchè
siano nelle migliori condizione di battere i concorrenti interni ed esterni. Poi
esiste anche una labile autonomia del politico dall' economico -l' esito referendario ne è un esempio parziale- ma, per lo più, chi la invoca oggi è come un bambino spaventato dal buio: riempire questa capitalistica notte con la propria voce può dare un pò di conforto ma non la
renderà meno buia.---
Quando
nel 1975 i cittadini del Regno Unito furono chiamati a referendum sul
restare o meno in quella che allora era la CEE, votarono in quasi 26
milioni sui 40 milioni aventi diritto, e il sì vinse con il 67%. Il
referendum era stato convocato da un governo laburista, il che dà torto a
chi oggi dice che far decidere ai cittadini sia una mania dei
conservatori antieuropeisti o dei populisti “di pancia”.
Mario Monti ha dichiarato alla Stampa che il referendum britannico del 23 giugno è un disastro, non solo perché voluto dal premier conservatore Cameron per rafforzare la sua leadership interna, ma soprattutto perché manda all’aria decenni di paziente tessitura europea da parte di statisti e governi. Sergio Romano oggi sul Corriere ringrazia i costituenti per la loro saggezza, perché la Costituzione vieta agli italiani referendum su spesa pubblica, fisco e Trattati internazionali ergo anche sulla Ue. E’ un punto di vista singolare. Non lo condivido. L’integrazione europea è lenta e ha moltissimi difetti sempre più evidenti in questi anni di crisi, basta pensare all’incapacità di una vera comune politica dell’immigrazione, oppure al “fai da te” con cui tra mille scontri in questi anni la BCE si è inoltrata nelle politiche monetarie non ortodosse per contenere la crisi. Ma proprio per questo o l’Europa è un grande principio capace di generare benefici e i politici sanno spiegarlo agli elettori, appellandosi ai loro portafogli e alle loro teste ma anche ai loro cuori e alla loro emotività; oppure se perdono nei referendum si deve al fatto che quei benefici o non sono abbastanza forti, o i politici non sanno spiegarli. I populisti emotivi e i nazionalisti in politica ci sono sempre stati. La differenza è se i loro avversari riescono a batterli con argomenti convincenti, oppure no. Se gli argomenti convincenti mancano, la risposta non può essere “vietiamo i referendum”.
Mario Monti ha dichiarato alla Stampa che il referendum britannico del 23 giugno è un disastro, non solo perché voluto dal premier conservatore Cameron per rafforzare la sua leadership interna, ma soprattutto perché manda all’aria decenni di paziente tessitura europea da parte di statisti e governi. Sergio Romano oggi sul Corriere ringrazia i costituenti per la loro saggezza, perché la Costituzione vieta agli italiani referendum su spesa pubblica, fisco e Trattati internazionali ergo anche sulla Ue. E’ un punto di vista singolare. Non lo condivido. L’integrazione europea è lenta e ha moltissimi difetti sempre più evidenti in questi anni di crisi, basta pensare all’incapacità di una vera comune politica dell’immigrazione, oppure al “fai da te” con cui tra mille scontri in questi anni la BCE si è inoltrata nelle politiche monetarie non ortodosse per contenere la crisi. Ma proprio per questo o l’Europa è un grande principio capace di generare benefici e i politici sanno spiegarlo agli elettori, appellandosi ai loro portafogli e alle loro teste ma anche ai loro cuori e alla loro emotività; oppure se perdono nei referendum si deve al fatto che quei benefici o non sono abbastanza forti, o i politici non sanno spiegarli. I populisti emotivi e i nazionalisti in politica ci sono sempre stati. La differenza è se i loro avversari riescono a batterli con argomenti convincenti, oppure no. Se gli argomenti convincenti mancano, la risposta non può essere “vietiamo i referendum”.