giovedì 24 maggio 2018

Il rischio politico

Ennesima puntata della guerra in Europa: la piccolissima borghesia, conservatrice quando gira bene e reazionaria quando gira male,  va al potere politico. E trova già un certo appoggio ideologico. In Italia iniziano a vedersi inversioni a U di alcuni intellettuali ed economisti. Dice bene Salvini quando afferma che la contrapposizione è tra il popolo e le elite, poichè il proletariato è sempre più silente.
 
L'appello è senza precedenti. Ben 154 economisti tedeschi hanno firmato un durissimo manifesto contro Emmanuel Macron e Mario Draghi, pubblicato su Faz.net, il sito della Frankfurter Allgemaine Zeitung. Senza citarli per nome, i più prestigiosi tra i docenti tedeschi di economia (compresi Hans Werner Sinn e Thomas Mayer, consiglieri di Angela Merkel, più Jurgen Stark, ex consigliere della Bce) bocciano senza appello sia le riforme dell'eurozona proposte dal presidente francese, sia la politica del Quantitative easing (acquisto di titoli di Stato) voluta dal presidente della Banca centrale europea (Bce). In sintesi: basta con le concessioni fiscali da parte dell'Ue ai paesi indebitati e indisciplinati come l'Italia, basta con la politica monetaria permissiva, ma sì soltanto alle riforme strutturali.


Se mai la cancelliera Angela Merkel dovesse fare propri i cinque punti elencati nel manifesto dei 154 economisti, e portarli al vertice europeo di giugno in cui si dovrà discutere il futuro dell'Ue, lo scenario a cui eravamo abituati da anni ne uscirebbe sconvolto. Fine dell'asse franco-tedesco. Fine del Quantitative easing. Eurozona a pezzi e Unione europea da rifondare ex novo. Il che potrebbe risultare una lama a doppio taglio per l'Italia, se sarà rappresentata da un governo Lega-M5S: una situazione ottima (direbbe Mao Tse Tung) per «rinegoziare i trattati», obiettivo dichiarato di Matteo Salvini e Luigi Di Maio; ma anche pessima, se dovesse scattare, su iniziativa tedesca, uno stop drastico alla flessibilità dei bilanci pubblici e alle politiche di spesa in deficit.

Dei cinque punti del manifesto, il più duro è il quinto, che prende di mira nello stesso tempo Macron e Draghi: «Un ministro europeo delle Finanze, dotato di una capacità di bilancio e con un ruolo di interlocutore della Bce, contribuirebbe a una ulteriore politicizzazione della politica monetaria. Gli ingenti acquisti di obbligazioni da parte della Bce (2.500 miliardi di euro fino a settembre 2018) già ora possono essere equiparati a una monetizzazione del debito da parte della banca centrale europea». Monetizzazione che lo statuto della Bce non consente, ma attuato da Draghi con acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario invece che su quello primario. Un'astuzia figlia del «whatever it takes» (a qualsiasi costo) pronunciato da Draghi per difendere l'euro, ma vista dagli economisti tedeschi come il fumo negli occhi.

Da qui la loro indicazione sul cambio di rotta: «Il principio di responsabilità è una pietra miliare dell'economia sociale di mercato. L'unione fondata sulla messa in comune delle responsabilità, mina la crescita e minaccia la prosperità di tutta l'Europa. Ciò è evidente nel livello salariale sempre più basso, soprattutto tra i giovani. Pertanto chiediamo al governo federale di tornare ai principi di base dell'economia sociale di mercato». Sembra incredibile, ma i bassi salari e la disoccupazione giovanile in Europa, per i 154 economisti crucchi, non sono un frutto avvelenato dell'austerità, come è ormai assodato, bensì colpa della politica accomodante di Draghi. Un falso, da cui fanno discendere la stessa cura di sempre, vale a dire: ancora più austerità.

Testuale: «Invece di creare nuove linee di credito e incentivi verso cattive condotte economiche, è importante promuovere riforme strutturali. Il privilegio garantito ai titoli di Stato nella gestione del rischio delle banche deve essere abolito. L'eurozona ha bisogno di una procedura di insolvenza ordinata per gli Stati e di una procedura per l'uscita ordinata (ovviamente dall'euro; ndr). L'unione nel mercato dei capitali deve essere completata, anche perché i movimenti di capitale compensano gli shock asimmetrici. Nel consiglio Bce è necessario collegare i diritti di voto con le responsabilità. I saldi Target devono essere compensati con regolarità. Gli acquisti di titoli di Stato devono cessare immediatamente». Da notare le ultime due frasi: con la prima si chiede all'Italia, senza citarla, di restituire 400 miliardi di debiti Target 2 maturati nel bilancio della Bce (dove per la Germania sono maturati crediti per 900 miliardi); con la seconda si ordina a Draghi di porre fine all'acquisto dei Btp italiani.

Quanto alle riforme proposte da Macron, i primi quattro punti del manifesto non gli danno scampo. Primo: il meccanismo europeo di stabilità (Esm) non dovrà mai essere utilizzato «come strumento di riassicurazione per il risanamento delle banche, poiché verrebbe meno per gli istituti di credito e per le autorità di controllo ogni incentivo a ripulire i bilanci dai crediti inesigibili. Questo a spese della crescita e della stabilità finanziaria». Secondo: no alla trasformazione dell'Esm in un Fondo monetario europeo, come chiede Macron. «Il Fondo finirebbe sotto l'influenza di paesi che non sono membri dell'eurozona. Poiché i singoli paesi perderebbero il diritto di veto sulle decisioni urgenti, i paesi creditori (Germania in testa; ndr) potrebbero essere messi in minoranza. Così, ad esempio, il Bundestag tedesco perderebbe il suo diritto di controllo".

Terzo: no alla messa in comune del sistema di garanzie dei depositi bancari. Se ciò avvenisse, «verrebbero socializzati anche i costi degli errori che le banche e i governi hanno commesso in passato». Quarto punto: no al «Fondo europeo per gli investimenti e per la stabilizzazione macroeconomica», e no al «Fondo per il sostegno delle riforme strutturali». Il motivo: «Porterebbero ulteriori trasferimenti e prestiti a favore di quei paesi della zona euro che in passato hanno evitato di fare le riforme necessarie. Sarebbe un errore premiare una condotta sbagliata». L'ennesima bordata contro l'Italia, ma anche contro la Francia di Macron, che di riforme strutturali, finora, ne ha fatte meno del nostro paese.


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