Bisogna aggiungere che in ogni caso il salario giusto, per un padrone, rimane sempre quello mediamente più basso e che l' accrescersi della produttività non ricadrebbe comunque in maniera spontanea ad ingrassare le buste paga.---
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sabato 3 novembre 2018
Gli amici del padrone
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lunedì 29 ottobre 2018
Le virtù dell' ignoranza
La classe intellettuale è adusa a interloquire solo tra sè e sè, avendo smesso da lungo tempo di interrogare la realtà, il più delle volte perchè troppo contraddittoria e paradossale per dei parametri dove tutto deve tornare liscio, senza vere pietre d' inciampo, riformabile.
Eppure anch'io, che contesto che un marxista possa essere un uomo di cultura, conosco la gioia che deriva dall effimero potere che dà l' aver afferrato saldamente un pezzetto significativo della mia e nostra realtà: oggi come ieri sfuggente, estranea, ostile.---
Quel che non si può misconoscere, invece, è il fatto che le due -che lo spirito illuministico volle strettamente legate, da Kant fino a Freud, son venute ormai separandosi nelle cose. Non é lecito invocare la Kultur contro la Zivilisation: il gesto imprecatorio, le formule esaltatrici della Kultur contro la società di massa, il diligente consumo di beni culturali a conferma del proprio gusto superiore nell’arredamento dell’ anima — tutto ciò precisamente é indissolubile da quel che la civiltà nostra ha di disgregato e disgregante. L’ invocazione della Kultur e' impotente.
Ma altrettanto vero e' che l' attivita' dell’incivilimento, come produzione e uso coltivato di meri oggetti strumentali e per di più spesso superflui, si e' resa ormai fine a se stessa in misura intollerabile, e che gli uomini non sono più o quasi piu' padroni di quest’apparato, ma suoi funzionari, ovvero consumatori coatti di quel che esso produce. Ma sarebbe falso arrestarsi a questa riflessione.
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martedì 9 ottobre 2018
Oktoberfest
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Ma che c'è sotto ? |
Altra puntata della guerra in Europa, stavolta nella ricca Baviera, laboratorio politico e insieme terra di frontiera. Devo dire che mie fonti dirette descrivono una realtà locale molto meno disastrata di come appare nell' articolo, invece sono piuttosto in convergenza con l' autore quando il discorso va ad esaminare le magagne di ritorno del troppo celebrato modello capitalista tedesco.---
La crepa profonda che minaccia l'Unione europea non sta sulla Manica per via della Brexit, e tantomeno nella dissidenza dei Paesi del Gruppo di Visegrad. Il governo giallo-verde dell'Italia e' solo un fastidioso foruncolo da schiacciare con lo spread. Il vero terremoto per l'Europa potra' scatenarsi dal cuore industriale della Germania, dalla Baviera: qui vengono al pettine i nodi irrisolti dall'Unione, innanzitutto l'immigrazione incontenibile che ha gia' squassato l'Italia. Ha destabilizzato l'area piu' ricca della Germania, cosi' come la poverta' nei Lander orientali sta polarizzando il consenso verso formazioni xenofobe e sovraniste. Un assetto sociale rigido, incapace di farsi concavo di fronte all'ingresso imprevisto di migliaia di stranieri, va in frantumi. Anche le soluzioni meccaniche messe in campo di recente dal governo federale, con l'aumento del salario minimo dei lavoratori precari, sono state bilanciate dalla riduzione delle ore lavorate. La locomotiva politica, prima ancora economica dell'Unione, e' cosi' dilaniata al suo interno, con un progressivo disfacimento del consenso verso i suoi due pilastri politici tradizionali, la Cdu-Csu e l'Spd. Un processo che ha gia' colpito un po' tutte le famiglie politiche europee che hanno rappresentato il pilastro del secondo dopoguerra. Le elezioni bavaresi del prossimo 14 ottobre segneranno comunque la fine dell'era Merkel, gia' messa a dura prova dai deludenti risultati elettorali del settembre 2017. C'e' in gioco assai piu' della continuita' politica che i suoi governi hanno assicurato attraverso le grandi coalizioni con i Socialdemocratici, messe in piedi a partire dal 2005. Ci si divide su tre temi, e sulle le rispettive polarita': integrazione/identita'; accumulazione finanziaria/sostenibilita' ambientale; lavoro regolamentato/precarizzazione sociale. In Baviera, i sondaggi ormai consolidati sono impietosi nel prevedere che la Csu perdera' per la prima volta dal 1962 la maggioranza assoluta dei seggi del Langstad, dopo aver governato ininterrottamente dal 1946. Rispetto al 2013, passerebbe dal 47,7% dei voti al 33%%; i Verdi aumenterebbero nettamente il consenso passando dall'8,6 al 18%; i Socialdemocratici dimezzerebbero i loro voti passando dal 20,6 all'11%. L'Fpd, il partito liberale, invece, e' accreditato appena del 6%, rispetto al 3,3% della precedente tornata. L'AfD, il partito che raccoglie le tendenze xenofobe e sovraniste e che tanto preoccupa tutti per il crescente consenso che riesce ad aggregare, si fermerebbe al 10%.
La crepa profonda che minaccia l'Unione europea non sta sulla Manica per via della Brexit, e tantomeno nella dissidenza dei Paesi del Gruppo di Visegrad. Il governo giallo-verde dell'Italia e' solo un fastidioso foruncolo da schiacciare con lo spread. Il vero terremoto per l'Europa potra' scatenarsi dal cuore industriale della Germania, dalla Baviera: qui vengono al pettine i nodi irrisolti dall'Unione, innanzitutto l'immigrazione incontenibile che ha gia' squassato l'Italia. Ha destabilizzato l'area piu' ricca della Germania, cosi' come la poverta' nei Lander orientali sta polarizzando il consenso verso formazioni xenofobe e sovraniste. Un assetto sociale rigido, incapace di farsi concavo di fronte all'ingresso imprevisto di migliaia di stranieri, va in frantumi. Anche le soluzioni meccaniche messe in campo di recente dal governo federale, con l'aumento del salario minimo dei lavoratori precari, sono state bilanciate dalla riduzione delle ore lavorate. La locomotiva politica, prima ancora economica dell'Unione, e' cosi' dilaniata al suo interno, con un progressivo disfacimento del consenso verso i suoi due pilastri politici tradizionali, la Cdu-Csu e l'Spd. Un processo che ha gia' colpito un po' tutte le famiglie politiche europee che hanno rappresentato il pilastro del secondo dopoguerra. Le elezioni bavaresi del prossimo 14 ottobre segneranno comunque la fine dell'era Merkel, gia' messa a dura prova dai deludenti risultati elettorali del settembre 2017. C'e' in gioco assai piu' della continuita' politica che i suoi governi hanno assicurato attraverso le grandi coalizioni con i Socialdemocratici, messe in piedi a partire dal 2005. Ci si divide su tre temi, e sulle le rispettive polarita': integrazione/identita'; accumulazione finanziaria/sostenibilita' ambientale; lavoro regolamentato/precarizzazione sociale. In Baviera, i sondaggi ormai consolidati sono impietosi nel prevedere che la Csu perdera' per la prima volta dal 1962 la maggioranza assoluta dei seggi del Langstad, dopo aver governato ininterrottamente dal 1946. Rispetto al 2013, passerebbe dal 47,7% dei voti al 33%%; i Verdi aumenterebbero nettamente il consenso passando dall'8,6 al 18%; i Socialdemocratici dimezzerebbero i loro voti passando dal 20,6 all'11%. L'Fpd, il partito liberale, invece, e' accreditato appena del 6%, rispetto al 3,3% della precedente tornata. L'AfD, il partito che raccoglie le tendenze xenofobe e sovraniste e che tanto preoccupa tutti per il crescente consenso che riesce ad aggregare, si fermerebbe al 10%.
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domenica 3 dicembre 2017
Segnali di prezzo (automazione e servitù #3)
la realtà, perchè in questa appunto non c'è organicità
Lunghissimo articolo di cui ho sforbiciato alcuni passaggi e tutte le deduzioni politiche che però ha il merito di porre sul piatto alcune questioni tecnicali che ben si integrano con quanto fin qui detto nell' indagine fra automazione e servitù. A volte, mi pare, soprattutto da parte degli scienziati si getta il cuore oltre l' ostacolo volendo a tutti costi vedere un futuro prossimo comunista già oggi nel cuore della tecnoscienza capitalista.
Questa preziosa gaiezza fa a cazzotti con il fatto che non si capisce come potremmo superare il sistema dei segnali di prezzo, cioè il mercato globale, grazie alle esponenzialmente accresciuta capacità di calcolo dei super calcolatori, visto che il capitalismo non è un computer ma prima di ogni altra cosa è un preciso rapporto sociale.
Eppure se nel criminale centralismo e autoritarismo sovietico possiamo vedere l' impotenza di fronte alla possibilità di pianificare e quindi controllare l' oggettività economica, allora alcune tecnologie oggi suggeriscono che l' interfaccia economico e politico tra produzione e soddisfazione dei bisogni sociali (in particolare quelli di elevato livello storico) potrebbe essere di molto facilitato, veloce e diretto senza passare dalla forma valore. Dicendo economico e politico naturalmente mi rifaccio a categorie in fin dei conti in totale ostaggio della divisione in classi ma al momento non ne ho altre da usare.
Da osservatore non ho da contrapporre allo sviluppo scientifico e tecnologico nessun umanesimo stantìo; vedi mai che proprio nella asimmetrica empatia uomo-macchina, portata al suo estremo, si accenda una scintilla fin troppo umana: il mondo non va cambiato, va rifatto---
sabato 31 dicembre 2016
Ha da passà 'a nuttata (automazione e servitù #2)
la tecnica, privata di una logica
propria, adotta del tutto quella dell’economia
La peculiarità del nostro capitalistico tempo, la tecnica planetaria -la robotica, l' intelligenza artificiale- pone
problemi enormi alla nostra concezione politica: l' integrazione delle classi
nella rete capitalistica non presenta neanche più le vesti del atto politico ma è l' accettazione, avvertita come vacuità esistenziale, del espletamento di alcune funzionalità nella grande giostra del network. Per contro, alcuni hanno provato a pensare
ai compiti rivoluzionari come alla soluzione di compiti "tecnicali". Non si tratta di riappropriarsi di qualcosa da cui basta emendare alcuni aspetti: ”La razionalità tecnica, oggi, è la razionalità del dominio stesso. E’ il carattere coatto della società estraniata a se stessa”. Come diceva un' amica, siamo 7 miliardi che lavoriamo gli uni per gli altri e non ce ne accorgiamo.
domenica 4 dicembre 2016
Siamo tutti in ballo
Sì, no, non lo so, astensionismo di maniera, illibertà è partecipazione. Le alternative poste dal Dominio sono sempre più stringenti e allo stesso tempo mai si occupano davvero di cosa c'è in ballo: è che siamo tutti in ballo. Non amo la Costituzione nata dalla Resistenza, il quadro normativo, superato nella sua forma compromissoria dai fatti, del rapporto del sfruttamento di una classe sull' altra, in cui è scritto nero su bianco che la fatica di produrre non può essere equamente ripartita e che a partire da ciò una accozzaglia di gruppi, masse, personale politico, potentati e strati sociali, possibilmente impermeabili allo scorrere dei decenni, si fa Stato. E' il miraggio della sovranità popolare. Questa illusione contiene qualche verità: "il popolo", un tempo lievito della mutazione sociale, è "salito", sino a diventare il lievito della coesione sociale.
Eppure una toccatina a Pinocchietto Renzi andrebbe data a mio modo di vedere esclusivamente per le sue politiche platealmente di classe, non che potrebbe essere altrimenti, che alcuni sottolineano ingiuste "in quanto vengono dal centro-sinistra". Forse non si sono accorti che la fase progressiva della sinistra è finita al più tardi a metà degli anni 70. I soliti mugugni. Bhe, chi segue questo blog sa che sul argomento non spreco fiato, il concetto "sinistra" non ha nulla a che fare con l'orientamento verso l' altro modo di produzione, quello più elevato intendo.
venerdì 18 novembre 2016
Il tempo di lavoro che si divora la vita
Non si dà vera vita nella falsa
Lo sviluppo delle forze produttive appare giunto al suo capitalistico capolinea ma l'astuzia del Capitale è tale che il general intellect si spreme le meninigi anche gratis per alzare il saggio di profitto- accelerando peraltro la sua stessa sostituzione con l' intelligenza artificiale. Grande è la paura di essere messi da parte, di andare a implementare la già nutrita e concreta moltitudine dei mendicanti metropolitani.
Il reale potere del Dominio non risiede nel comando ma proprio nella Sua società che ha manipolato fin nelle più recondite pieghe con il bastone della necessità e l' imitazione e con la carota della libertà e la distinzione, eppure è proprio in essa che rintracciamo le faglie più profonde del attrito fra il possibile e l' aporia del presente.
Il titolo dato dal collettivo Clash City Workers all' articolo che riproduco dovrebbe essere ribaltato: il tempo al servizio del Capitale è l' unica vita che c'è. Da quando esiste il lavoro salariato, da non intendersi in senso sindacale, la classe dei padroni si compra e usa come meglio crede la vita del lavoratore, fra cui le ore in cui lo spreme come forza-lavoro immediata -di mano o di concetto non ha alcuna importanza. Con il progressivo venire a galla della sostanza sociale e totalitaria del Capitale la vita, il tempo libero e quello di lavoro di ognuno sono categorie comode per l'analisi (che però ci portano a credere che esista un margine che non c'è) ma con sempre maggiore evidenza formali.
Il 4 agosto scorso compare su Bloomberg Businessweek un’intervista a Marissa Mayer, amministratore delegato di una delle più grandi corporation al mondo: Yahoo. Senza tanti giri di parole, la Mayer, già fra i primi dipendenti di Google, ci svela la chiave del successo del gigante statunitense e più in generale di ogni grande impresa: “Il segreto della fortuna delle aziende è quello di avere dipendenti che si impegnano duramente. Si può arrivare a una media di 130 ore alla settimana”. Per anni abbiamo sentito raccontare la storia per cui, nelle grandi società del web 2.0, il lavoro era molto più rilassato: appositi spazi comuni dove prendere una pausa e fare un pisolino, e in Google addirittura la possibilità per i dipendenti di usare un’ora retribuita al giorno (o perfino il 20% del tempo) per dedicarsi a un libero progetto. Ma poi nel 2015 è stata proprio la Mayer a chiarire meglio la faccenda: “I’ve got to tell you the dirty little secret of Google’s 20% time. It’s really 120% time”. Ovvero, quel 20% di tempo era da considerarsi oltre il normale lavoro: straordinari straordinari, semplicemente, non retribuiti. Progetti che poi Google valutava ed eventualmente includeva tra quelli ufficiali. Sono gli stessi Page e Brin, fondatori di Google, ad affermare nel 2014: “Noi incoraggiamo i nostri dipendenti, in aggiunta ai loro regolari progetti, a utilizzare il 20% del loro tempo per lavorare su quello che loro pensano possa fare più bene a Google”, tanto che “molti dei nostri avanzamenti sono avvenuti in questa maniera”, da Google News a Gmail e addirittura il sistema che genera la fetta più grande di profitti per il colosso statunitense: AdSense. Solo nel 2013 Google ha escluso del tutto la politica del 20%, probabilmente per porre un limite all’eccessivo ritmo di innovazioni che rendeva difficile lo sviluppo organico dei progetti.
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giovedì 17 novembre 2016
Il ritardo -italiano
Sembra che non sia cambiato molto in questo misero paese che si accapiglia sul niente e si pregia di lasciare insolute le questioni cruciali Mi riferisco al pluridecennale gap tra lo sviluppo socio economico e la infrastruttura politica, l' eterno ineguale sviluppo. E, allargando lo sguardo, il tutto in un fortissimo ritardo rispetto ai più diretti, vecchi e nuovi concorrenti nella competizione imperialistica globale. La riforma costituzionale e la legge elettorale sembrano essere pensati più per mimetizzare, agli occhi degli osservatori internazionali, la strutturale incapacità del personale politico a riformare. Neppure il bipartitismo - nel testo emerge bene la sua necessaria funzione, peraltro oggi parecchio in crisi- qui ha attecchito e i due italici poli -anzichè riformare velocemente per adattare il corpo sociale alle accelerazioni economiche- hanno prodotto inciuci di tutti i generi e quindi immobilismo. La stessa nozione di capitalismo di stato come qui declinata, dopo che siamo passati attraverso la privatizzazione del IRI e dei principali gruppi industriali e finanziari a capitale "pubblico", in Italia non è mai del tutto tramontata. E che dire poi del parassitismo sociale ?---
La crisi politica esasperata è la più clamorosa manifestazione delle contraddizioni in cui si dibatte la società borghese in Italia. La crisi politica accelera la tendenza al bipartitismo, tendenza che é funzionale al sistema, ma aggrava tutti i problemi economici del capitalismo e le condizioni di vita del proletariato, dalla perdita del potere di acquisto alla disoccupazione. L’ indebolimento dell’ imperialismo italiano in rapporto alle potenze che stanno crescendo rafforzate dalla crisi mondiale di ristrutturazione si accentua sempre più ed ha come effetto, rapido e precipitato, un ulteriore condizionamento internazionale ed un ulteriore processo di imputridimento sociale e politico.
La crisi politica raggiunge ormai toni parossistici che non fanno altro che aggravare l' indebolimento della metropoli italiana. Il capitalismo italiano ha dimostrato negli ultimi due anni l' incapacità a portare avanti una vera ristrutturazione e questa incapacità, questo ritardo nei confronti dei suoi concorrenti, questo problema rimandato di mese in mese si e accumulato e addensato proprio quando il sistema mondiale esprime confronti e conflitti interimperialistici al piu alto livello.
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martedì 1 novembre 2016
La scienza può dire la verità ?
Senza totalità, allo scienziato rimane da indagare fatti slegati, ossia accettare lo status quo.
Un importante articolo sul tema più sostanziale di ogni epoca: quello della verità e del suo albergare o meno, e in che misura, nella realtà sociale come nella vita soggettiva, sempre che di quest' ultima ne esista una.---
Introduzione
La filosofia della scienza si è a lungo interrogata sulla diversa
natura delle singole discipline e sull’unicità o meno dei metodi della
scienza che ne poteva derivare. Fino al XIX secolo, la specializzazione
scientifica non era tale da originare controversie. Gli scienziati erano
anche filosofi e spesso studiosi della società e storici[1]
. Gli intellettuali avevano una conoscenza almeno basilare di tutte le
scienze principali e della filosofia e nessuna scienza godeva di uno
status superiore poiché ancora nessuna scienza aveva contribuito a un
incremento sensibile delle forze produttive.
Il fenomenale sviluppo della scienza degli ultimi secoli ha elevato
lo status delle scienze naturali, relegando le discipline sociali a
chiacchiericcio. Il sentire comune è che la fisica sia “la” scienza
assieme a ciò che le si avvicina per rigore nella sperimentazione e
nella teorizzazione. Il contributo della fisica allo sviluppo umano
appare ovvio e incontrovertibile, quello delle scienze sociali quanto
meno dubbio. Le riflessioni epistemologiche moderne sono tentativi di
generalizzare i metodi della fisica per consentire a tutte le branche
del sapere di arrivare allo stesso livello di sviluppo: “le scienze
dell’uomo e della società si sforzano di emulare il modello delle
scienze naturali che hanno tanto successo”[2],
così che tra le influenze dominanti per le scienze sociali vi è quella
dei “modelli forniti dalle scienze della natura” (Piaget, cit., p. 29).
Al massimo, allora, alla filosofia non rimane che il ruolo di
commentatrice e generalizzatrice, poiché “resta la tendenza fondamentale
dello sviluppo filosofico: riconoscere come necessari e come dati i
risultati ed i metodi delle scienze particolari, attribuendo alla
filosofia il compito di portare alla luce e di giustificare il
fondamento di validità di queste costruzioni concettuali”[3] .
L’epistemologia moderna, in quasi tutte le sue componenti, riflette
il trionfo delle scienze naturali. Nell’ottocento, molti scienziati
guardavano ottimisticamente alle scienze nel loro complesso,
evidenziando una loro natura unitaria in quanto parti del progresso
dell’industria e della società (Helmholtz per tutti). Nel ventesimo
secolo, la scuola epistemologica più di successo e duratura, il
neopositivismo, considera una parte fondamentale del suo programma la
battaglia per l’unificazione delle scienze, ovviamente sotto le bandiere
della fisica. Pur da prospettive diverse, gli epistemologi successivi
hanno sostanzialmente accettato questa posizione monista. Ciò vale anche
per diversi pensatori marxisti, che hanno subordinato le scienze
sociali a quelle naturali[4].
D’altro canto, le correnti che hanno proposto interazioni tra scienza e società (in particolare la sociologia della conoscenza), hanno rilevato il carattere sociale di tutte le scienze, in un quadro metodologico, di nuovo, sostanzialmente monista.
D’altro canto, le correnti che hanno proposto interazioni tra scienza e società (in particolare la sociologia della conoscenza), hanno rilevato il carattere sociale di tutte le scienze, in un quadro metodologico, di nuovo, sostanzialmente monista.
In queste concezioni ha poco senso distinguere tra scienze sociali e
naturali. Esse avranno gli stessi obiettivi, gli stessi metodi, spesso
gli stessi strumenti analitici e si distingueranno, al massimo, per un
diverso grado di sviluppo e formalizzazione. Le scienze più sviluppate
forniranno il modello per tutte le altre, che non dovranno far altro che
seguirne le orme.
In questo scritto cercheremo di dimostrare che esiste invece una
differenza strutturale, ontologica, tra le scienze che non coincide
strettamente con la distinzione tra scienze naturali e sociali e che
tale distinzione deriva dalla loro funzione sociale, da cui anche deriva
il rapporto con i criteri di verità della scienza. Ciò che distingue le
scienze, proveremo a spiegare, non è il metodo o l’oggetto di studio,
ma il rapporto con le forze produttive e i rapporti di produzione.
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sabato 1 ottobre 2016
Le origini agrarie del capitalismo
A proposito dell' affinamento della forma valore operato nella produzione agricola e poi consegnato all' industria. Il lungo abbrivio della lenta ma inesorabile crescita della produttività accumulata nei secoli del basso medioevo doveva strutturarsi in un nuovo corpo con abito altrettanto nuovo, senza potersi mai più riconoscere. L' articolo sembra sintetizzare negli "imperativi del mercato" ciò che io, appoggiandomi indegnamente su altri, chiamo rapporto sociale capitalistico. ---
Update: questo innocuo post ha sortito una polemica con un certo Plinio che ha pensato di cogliermi in fallo poichè qui propongo questa breve indagine sul primo esempio di centralizzazione dei mezzi di produzione avvenuto nell'Inghilterra del XVII sec in campo agricolo. Al contrario spesso mi esprimo in favore di uno slancio e di una attenzione particolari verso ciò che già oggi tratteggia la necessità di una nuovissima combinazione storico-sociale. C'è contraddizione logica? In realtà per me, nella mia testa, -luogo esclusivo, mi rendo conto- questo post continuava un commento lasciato pochi giorni prima nel blog Diciottobrumaio in cui accennavo ad alcune questioni inerenti a questo tema. Ora che la gratuita polemica del mio interlocutore si dovrebbe essere quietata ne posso dare spiegazione.
Update: questo innocuo post ha sortito una polemica con un certo Plinio che ha pensato di cogliermi in fallo poichè qui propongo questa breve indagine sul primo esempio di centralizzazione dei mezzi di produzione avvenuto nell'Inghilterra del XVII sec in campo agricolo. Al contrario spesso mi esprimo in favore di uno slancio e di una attenzione particolari verso ciò che già oggi tratteggia la necessità di una nuovissima combinazione storico-sociale. C'è contraddizione logica? In realtà per me, nella mia testa, -luogo esclusivo, mi rendo conto- questo post continuava un commento lasciato pochi giorni prima nel blog Diciottobrumaio in cui accennavo ad alcune questioni inerenti a questo tema. Ora che la gratuita polemica del mio interlocutore si dovrebbe essere quietata ne posso dare spiegazione.
Una delle più consolidate convenzioni
della cultura occidentale è l’associazione del capitalismo con la città.
É invalsa la supposizione che esso sia nato e cresciuto nelle città.
Non solo, tutto ciò implica che qualsiasi città – con le sue
caratteristiche attività di traffico e commercio – sia per natura, e sin
dagli inizi, potenzialmente capitalista, e come solo ostacoli esterni
abbiano impedito a ogni civiltà urbana di dare i natali al capitalismo.
Solo la religione sbagliata, la forma di stato sbagliata, o ogni altro
genere di catene ideologiche, politiche e culturali che abbiano frenato
le classi urbane, hanno impedito al capitalismo di sorgere ovunque e
comunque, sin da tempi immemorabili – o perlomeno da quando la
tecnologia ha permesso un’adeguata produzione di eccedenze.
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