Le schermaglie sui dazi commerciali le trovo particolarmente divertenti per
l' abilità (mai farne una questione di stile) con cui
Trump vuole portare alcuni dei principali partner a incontri bilaterali
che gli permettano di ridurre l' enorme deficit commerciale americano, marginalizzando le istituzioni come il WTO anche se per ora non le delegittima apertamente.
Vuole
fare questa cosa ma non può spingerla fino in fondo, le dinamiche
compatte dell'imperialismo mondiale gli impongono di continuare a essere
il paese imperiale che consuma le merci di tutti gli altri, pena uno sconquassamento un pò troppo radicale dello status quo dei commerci mondiali che per ora non
conviene a nessuno degli antagonisti.
La prima onda della crisi dei profitti si è appena appena chetata e tutti ne sono usciti malconci, indeboliti e con la sensazione che non sia per nulla finita qui. Hanno ragione. Nel frattempo però si cerca il miglior posizionamento sulla scacchiera geoeconomica in attesa che si manifesti la seconda e Trump quello sta facendo. L' articolo del Sole più sotto di questo parla, dando per scontato un naturale atlantismo che a mio avviso è oggi invece molto mal subito da questa parte dell' oceano: e chi se lo scorda l' Hotel Plaza ?
Alla faccia di chi pensa che lo stato, nella sua significativa accezione di mercato interno,
sia depotenziato nell' era della globalizzazione, ricordo che il PIL americano è composto per 2/3 di
consumi interni di merci per lo più importate,
gli Usa sono l' unico paese al mondo in cui la lobby degli importatori è
molto più forte di quella degli esportatori e i primi che soffrirebbero
di una vera e propria trade war sarebbero Wall Street e il CME. Il tonfo è appena iniziato: è bastato un velatissimo accenno a metà settimana da parte cinese ("China is said to plan countermeasures against US tariffs") per scatenare un sell-off piuttosto prevedibile, data anche un' altra serie di fattori che spingono in quel senso.
Alle
aste di titoli di stato americani di due settimane fa (offerta molto superiore
alla media, la riforma fiscale e il piano infrastrutturale di Trump
pretendono il finanziamento) mi sarei aspettato che cinesi (e
giapponesi, per questioni valutarie) mandassero un segnale di
ritorsione, invece niente: venduto tutto. Evidentemente gli interessi offerti sono niente male e il rischio per ora valutato come contenuto.
Ma non è finita qui, la cosa andrà avanti a strappi. Quelli che per ora hanno ridotto al minimo il rischio di instabilità e di discontinuità delle politiche economiche sono proprio i cinesi. Quelli che sembrano non avere idea di come uscirne sono ovviamente gli europei, imperialisti quanto gli altri contendenti. Osservo questo schifo e mi dico che presumibilmente dovrò essere in balìa di tutto ciò finchè campo: si ride per non piangere.
Il
volto feroce verso la Cina e la chiamata alle armi all’Europa. La
strategia dell’amministrazione Trump continua a dipanarsi tra minacce e
aperture, ora agli avversari ora agli alleati, in un succedersi di
accelerazioni e brusche correzioni di rotta che mirano a spostare gli
equilibri del sistema multilaterale in chiave prevalentemente
anti-cinese. Anche a costo di farlo saltare.