Nella
letteratura accademica, sia di stampo critico che mainstream il termine
“centralizzazione” viene spesso sostituito dall’espressione
“concentrazione”. Gli stessi Marx e Hilferding in alcune circostanze
adoperano questi termini alla stregua di sinonimi. A ben guardare,
tuttavia, i due concetti hanno significati diversi. Nell’ accezione
originaria di Marx la “concentrazione” del capitale corrisponde alla
creazione di nuovi mezzi di produzione e alla crescita conseguente della
loro massa complessiva, sia in termini assoluti che in rapporto alla
forza lavoro disponibile: la “concentrazione”, in altre parole, “è
basata direttamente sull’accumulazione, anzi è identica ad essa” (Marx, [1867] 1994, p. 685).
Invece, la “centralizzazione” dei capitali consiste nel fatto che, sebbene la produzione capitalistica veda le imprese contrapposte l’una all’altra come produttrici di merci reciprocamente indipendenti e la competizione capitalistica si presenti di norma come “ripulsione reciproca di molti capitali individuali”, è possibile rilevare un’opposta tendenza alla “concentrazione di capitali già formati” e dunque al superamento della loro autonomia individuale, che si realizza mediante l’“espropriazione del capitalista ad opera del capitalista, della trasformazione di molti capitali minori in pochi capitali più grossi” (ivi, pp. 685-686). Il processo di centralizzazione può in tal senso concretizzarsi in vari modi: semplicemente attraverso l’uscita dal mercato dei capitali più deboli; oppure tramite liquidazione, acquisizione o fusione aziendale, che implicano cambiamenti nel diritto di proprietà; oppure anche in modo surrettizio, quando la proprietà formale del capitale resta frammentata ma il controllo si concentra in poche mani, come nei settori in cui le catene produttive sono basate sull’outsourcing oppure, più in generale, come accade con la massa dei capitali la cui proprietà è dispersa tra una miriade di azionisti e depositanti ma la cui gestione è demandata ai vertici di società per azioni e istituti bancari.
Invece, la “centralizzazione” dei capitali consiste nel fatto che, sebbene la produzione capitalistica veda le imprese contrapposte l’una all’altra come produttrici di merci reciprocamente indipendenti e la competizione capitalistica si presenti di norma come “ripulsione reciproca di molti capitali individuali”, è possibile rilevare un’opposta tendenza alla “concentrazione di capitali già formati” e dunque al superamento della loro autonomia individuale, che si realizza mediante l’“espropriazione del capitalista ad opera del capitalista, della trasformazione di molti capitali minori in pochi capitali più grossi” (ivi, pp. 685-686). Il processo di centralizzazione può in tal senso concretizzarsi in vari modi: semplicemente attraverso l’uscita dal mercato dei capitali più deboli; oppure tramite liquidazione, acquisizione o fusione aziendale, che implicano cambiamenti nel diritto di proprietà; oppure anche in modo surrettizio, quando la proprietà formale del capitale resta frammentata ma il controllo si concentra in poche mani, come nei settori in cui le catene produttive sono basate sull’outsourcing oppure, più in generale, come accade con la massa dei capitali la cui proprietà è dispersa tra una miriade di azionisti e depositanti ma la cui gestione è demandata ai vertici di società per azioni e istituti bancari.
Per
Marx, le leve più potenti della centralizzazione sono due. In primo
luogo vi è la “lotta della concorrenza”, che vede prevalere i capitali
più grossi, caratterizzati da una maggior scala di produzione e quindi
da una più elevata produttività, e che “termina sempre con la rovina di
molti capitalisti minori, i cui capitali in parte passano nelle mani del
vincitore, in parte scompaiono” (ivi, pp. 686). Ma soprattutto vi è il
“sistema del credito”, che attira mediante fili invisibili i mezzi
pecuniari disseminati nelle mani di capitalisti individuali e infine si
trasforma “in un immane meccanismo sociale per la centralizzazione dei
capitali” (ibid.). Il processo di centralizzazione associato
allo sviluppo del sistema creditizio e finanziario favorisce dunque
l’immissione di enormi quantitativi parcellizzati di capitale nelle mani
di una ristretta “aristocrazia finanziaria”,
dedita all’organizzazione del capitale su base privata senza aver
bisogno di assumerne la proprietà privata. La tendenza alimenta così una
contraddizione fondamentale, che consiste nella “soppressione del
capitale come proprietà privata nell’ambito del modo di produzione
capitalistico stesso” e che incarna, almeno in potenza, una “forma di
transizione verso un nuovo modo di produzione” (ivi, p. 523). Per questa
via, aggiungerà Hilferding, “i settori del capitale industriale,
commerciale e bancario, un tempo divisi, vengono posti sotto la
direzione comune dell’alta finanza”,
secondo un processo che “ha come base il superamento della libera
concorrenza”(Hilferding, [1910] 2011, p. 393). La centralizzazione, in
questo senso, è assunta come elemento costitutivo del capitalismo
moderno: in ultima istanza, “capitale finanziario significa capitale
unificato”(ibid.).
Dai brevi spunti appena riportati non pare difficile rilevare la
fecondità del concetto di centralizzazione dei capitali. Dall’idea di
una libera concorrenza che porterebbe con sé i germi della sua
eutanasia, fino alla contraddizione di un controllo capitalistico sempre
più sganciato dalla proprietà privata del capitale e tale persino da
lasciar presagire un trapasso verso nuovi modi di produzione, la
centralizzazione dei capitali appare indissolubilmente legata ad alcuni
snodi centrali dell’analisi marxista. Ma, si può anche ritenere che la
centralizzazione dei capitali rappresenti un concetto attuale? Ad
esempio, può il concetto di centralizzazione contribuire allo studio
delle crisi più recenti? In effetti, la grande recessione esplosa nel
2008 e il connesso dibattito sullo sviluppo delle istituzioni
finanziarie “too big to fail” sembrano aver suscitato un rinnovato
interesse sul possibile collegamento tra centralizzazione e crisi. [continua]
Tratto da Un capitalismo sempre più centralizzato e concentrato di S. Isaia -reperibile in rete, a complemento del discorso di Brancaccio di cui sopra
I
mercati finanziari non «sono al centro della valorizzazione», almeno
nell’accezione non volgare – non superficiale e non feticistica – del
concetto di valore; essi sono piuttosto al centro della centralizzazione
dei capitali, ossia dell’«attrazione del capitale da parte del
capitale» (Marx), un processo intimamente connesso al processo di
concentrazione capitalistica, la quale trova il suo potente carburante
nel denaro rastrellato da ogni parte dagli istituti finanziari, e
convertito in capitale a disposizione di chi voglia servirsene per
smungere plusvalore alla vacca sacra del lavoro salariato.
La centralizzazione, ossia la concentrazione nella sfera finanziaria di capitali monetari già formati, per Marx «non è che un’espressione diversa per indicare la riproduzione su scala allargata». «Con la produzione capitalistica si forma una potenza assolutamente nuova, il sistema del credito, divenuto ben presto un’arma nuova e terribile nella lotta della concorrenza e trasformandosi infine in un immane meccanismo sociale per la centralizzazione dei capitali»19. Nell’epoca del capitalismo finanziario, generato spontaneamente dallo sviluppo capitalistico “tradizionale”(20), la centralizzazione dei capitali già formati ha assunto una funzione decisiva nel processo di accumulazione, il quale non può darsi se non come continuo rivoluzionamento della base tecnologica dell’impresa, assoggettata a una concorrenza sempre più spietata, anche in regime di monopolio (sempre relativo, peraltro) o oligopolio.
Questa
imperiosa necessità, dettata in ultima analisi dal saggio del profitto,
implica un afflusso sempre più cospicuo di capitali verso l’impresa,
che sempre più spesso si vede costretta a ricorrere al sistema
creditizio, non potendo contare nell’autofinanziamento in ogni momento
del processo di accumulazione allargato (dalla produzione-valorizzazione
della merce alla sua vendita-realizzazione, fino alla trasformazione
del denaro in nuovo capitale da investire). A un certo punto essa,
impercettibilmente, diventa una costola del capitale monetario che l’ha
finanziata, e, “dialetticamente”, il capitale finanziario si integra
sempre più con il capitale industriale che sfrutta direttamente il
lavoro vivo, fino a una loro completa fusione.
Si comprende facilmente come il processo di centralizzazione di capitali col tempo abbia sopravanzato, e di molte lunghezze, il processo di concentrazione (che, ricordo, riguarda la sfera della produzione: si concentrano «fattori produttivi», si centralizzano capitali monetari), divenendo il momento egemone dell’accumulazione capitalistica colta nella sua totalità economico-sociale. Ciò che ci sta dinanzi non è il Finanzcapitalismo, né il Capitalismo della cornucopia, bensì la fase imperialistica del Capitalismo, epoca storica nella quale i processi di concentrazione e di centralizzazione del Capitale sono diventati così potenti e diffusi da coinvolgere nella competizione globale per la spartizione dei mercati, delle materie prime, del lavoro e del plusvalore l’intera società capitalistica, a iniziare dal suo vertice politico-istituzionale: lo Stato.
nota
20 Un solo esempio, molto significativo, anche perché profondamente
implicato nel processo di concentrazione dei «fattori produttivi». Con i
miglioramenti tecnologici e organizzativi della produzione, e con
quelli che hanno investito i mezzi di trasporto e di comunicazione,
miglioramenti ottenuti soprattutto con l’impiego sempre più
generalizzata ed economicamente finalizzata della prassi scientifica,
tempo di lavoro (produzione) e tempo di circolazione (trasporto,
vendita, trasformazione del denaro realizzato in capitale) si
contraggono, con grande beneficio per il capitale investito
nell’impresa. Marx scopre che l’accorciamento del tempo di rotazione,
generato dalla contrazione temporale a monte e a valle del processo
complessivo dell’accumulazione, non solo rappresenta un balsamo per il
vitale saggio del profitto, ma alimenta un fenomeno che col tempo
risulterà decisivo: la creazione di capitale monetario. Infatti, la
contrazione del tempo di rotazione (somma di tempo di lavoro e tempo di
circolazione), rendendo più fluido, rapido, profittevole ed economico il
processo di cui sopra, libera capitali sempre più cospicui, che possono
così cercar fortuna nell’ammiccante sfera finanziaria, dominio della
Cornucopia. «Per l’esercizio del totale processo sociale di riproduzione
(che comprende il processo di circolazione), una determinata parte del
valore-capitale anticipato è superflua ed è perciò espulsa nella forma
di capitale monetario (K. Marx, Il Capitale, II, p. 298, Editori
Riuniti, 1980). Marx osserva come questo fenomeno di messa in libertà di
capitali debba «sostenere una funzione importante quando si sviluppi il
sistema creditizio», e debba «costituire contemporaneamente uno dei
fondamenti dello stesso» (Ivi, p. 297). Come scrivo in Dacci oggi il
nostro pane quotidiano, «La produzione totalmente automatizzata, priva
di qualsiasi intervento umano, e il teletrasporto sono forse le due
utopie capitalistiche più dure a morire: senza la fastidiosa presenza
umana il Capitale si emanciperebbe dal conflitto con il lavoro, e col
teletrasporto esso in pratica azzererebbe i suoi costosi tempi di
rotazione, fonte di notevoli magagne» (p. 283).
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