sabato 4 luglio 2015

Crisi e centralizzazione


Nella letteratura accademica, sia di stampo critico che mainstream il termine “centralizzazione” viene spesso sostituito dall’espressione “concentrazione”. Gli stessi Marx e Hilferding in alcune circostanze adoperano questi termini alla stregua di sinonimi. A ben guardare, tuttavia, i due concetti hanno significati diversi. Nell’ accezione originaria di Marx la “concentrazione” del capitale corrisponde alla creazione di nuovi mezzi di produzione e alla crescita conseguente della loro massa complessiva, sia in termini assoluti che in rapporto alla forza lavoro disponibile: la “concentrazione”, in altre parole, “è basata direttamente sull’accumulazione, anzi è identica ad essa” (Marx, [1867] 1994, p. 685).

Invece, la “centralizzazione” dei capitali consiste nel fatto che, sebbene la produzione capitalistica veda le imprese contrapposte l’una all’altra come produttrici di merci reciprocamente indipendenti e la competizione capitalistica si presenti di norma come “ripulsione reciproca di molti capitali individuali”, è possibile rilevare un’opposta tendenza alla “concentrazione di capitali già formati” e dunque al superamento della loro autonomia individuale, che si realizza mediante l’“espropriazione del capitalista ad opera del capitalista, della trasformazione di molti capitali minori in pochi capitali più grossi” (ivi, pp. 685-686). Il processo di centralizzazione può in tal senso concretizzarsi in vari modi: semplicemente attraverso l’uscita dal mercato dei capitali più deboli; oppure tramite liquidazione, acquisizione o fusione aziendale, che implicano cambiamenti nel diritto di proprietà; oppure anche in modo surrettizio, quando la proprietà formale del capitale resta frammentata ma il controllo si concentra in poche mani, come nei settori in cui le catene produttive sono basate sull’outsourcing oppure, più in generale, come accade con la massa dei capitali la cui proprietà è dispersa tra una miriade di azionisti e depositanti ma la cui gestione è demandata ai vertici di società per azioni e istituti bancari.



Per Marx, le leve più potenti della centralizzazione sono due. In primo luogo vi è la “lotta della concorrenza”, che vede prevalere i capitali più grossi, caratterizzati da una maggior scala di produzione e quindi da una più elevata produttività, e che “termina sempre con la rovina di molti capitalisti minori, i cui capitali in parte passano nelle mani del vincitore, in parte scompaiono” (ivi, pp. 686). Ma soprattutto vi è il “sistema del credito”, che attira mediante fili invisibili i mezzi pecuniari disseminati nelle mani di capitalisti individuali e infine si trasforma “in un immane meccanismo sociale per la centralizzazione dei capitali” (ibid.). Il processo di centralizzazione associato allo sviluppo del sistema creditizio e finanziario favorisce dunque l’immissione di enormi quantitativi parcellizzati di capitale nelle mani di una ristretta “aristocrazia finanziaria”, dedita all’organizzazione del capitale su base privata senza aver bisogno di assumerne la proprietà privata. La tendenza alimenta così una contraddizione fondamentale, che consiste nella “soppressione del capitale come proprietà privata nell’ambito del modo di produzione capitalistico stesso” e che incarna, almeno in potenza, una “forma di transizione verso un nuovo modo di produzione” (ivi, p. 523). Per questa via, aggiungerà Hilferding, “i settori del capitale industriale, commerciale e bancario, un tempo divisi, vengono posti sotto la direzione comune dell’alta finanza”, secondo un processo che “ha come base il superamento della libera concorrenza”(Hilferding, [1910] 2011, p. 393). La centralizzazione, in questo senso, è assunta come elemento costitutivo del capitalismo moderno: in ultima istanza, “capitale finanziario significa capitale unificato”(ibid.).

Dai brevi spunti appena riportati non pare difficile rilevare la fecondità del concetto di centralizzazione dei capitali. Dall’idea di una libera concorrenza che porterebbe con sé i germi della sua eutanasia, fino alla contraddizione di un controllo capitalistico sempre più sganciato dalla proprietà privata del capitale e tale persino da lasciar presagire un trapasso verso nuovi modi di produzione, la centralizzazione dei capitali appare indissolubilmente legata ad alcuni snodi centrali dell’analisi marxista. Ma, si può anche ritenere che la centralizzazione dei capitali rappresenti un concetto attuale? Ad esempio, può il concetto di centralizzazione contribuire allo studio delle crisi più recenti? In effetti, la grande recessione esplosa nel 2008 e il connesso dibattito sullo sviluppo delle istituzioni finanziarie “too big to fail” sembrano aver suscitato un rinnovato interesse sul possibile collegamento tra centralizzazione e crisi. [continua]

Tratto da Un capitalismo sempre più centralizzato e concentrato di S. Isaia -reperibile in rete, a complemento del discorso di Brancaccio di cui sopra


 I mercati finanziari non «sono al centro della valorizzazione», almeno nell’accezione non volgare – non superficiale e non feticistica – del concetto di valore; essi sono piuttosto al centro della centralizzazione dei capitali, ossia dell’«attrazione del capitale da parte del capitale» (Marx), un processo intimamente connesso al processo di concentrazione capitalistica, la quale trova il suo potente carburante nel denaro rastrellato da ogni parte dagli istituti finanziari, e convertito in capitale a disposizione di chi voglia servirsene per smungere plusvalore alla vacca sacra del lavoro salariato.

La centralizzazione, ossia la concentrazione nella sfera finanziaria di capitali monetari già formati, per Marx «non è che un’espressione diversa per indicare la riproduzione su scala allargata». «Con la produzione capitalistica si forma una potenza assolutamente nuova, il sistema del credito, divenuto ben presto un’arma nuova e terribile nella lotta della concorrenza e trasformandosi infine in un immane meccanismo sociale per la centralizzazione dei capitali»19. Nell’epoca del capitalismo finanziario, generato spontaneamente dallo sviluppo capitalistico “tradizionale”(20), la centralizzazione dei capitali già formati ha assunto una funzione decisiva nel processo di accumulazione, il quale non può darsi se non come continuo rivoluzionamento della base tecnologica dell’impresa, assoggettata a una concorrenza sempre più spietata, anche in regime di monopolio (sempre relativo, peraltro) o oligopolio. 

Questa imperiosa necessità, dettata in ultima analisi dal saggio del profitto, implica un afflusso sempre più cospicuo di capitali verso l’impresa, che sempre più spesso si vede costretta a ricorrere al sistema creditizio, non potendo contare nell’autofinanziamento in ogni momento del processo di accumulazione allargato (dalla produzione-valorizzazione della merce alla sua vendita-realizzazione, fino alla trasformazione del denaro in nuovo capitale da investire). A un certo punto essa, impercettibilmente, diventa una costola del capitale monetario che  l’ha finanziata, e, “dialetticamente”, il capitale finanziario si integra sempre più con il capitale industriale che sfrutta direttamente il lavoro vivo, fino a una loro completa fusione.

Si comprende facilmente come il processo di centralizzazione di capitali col tempo abbia sopravanzato, e di molte lunghezze, il processo di concentrazione (che, ricordo, riguarda la sfera della produzione: si concentrano «fattori produttivi», si centralizzano capitali monetari), divenendo il momento egemone dell’accumulazione capitalistica colta nella sua totalità economico-sociale. Ciò che ci sta dinanzi non è il Finanzcapitalismo, né il Capitalismo della cornucopia, bensì la fase imperialistica del Capitalismo, epoca storica nella quale i processi di concentrazione e di centralizzazione del Capitale sono diventati così potenti e diffusi da coinvolgere nella competizione globale per la spartizione dei mercati, delle materie prime, del lavoro e del plusvalore l’intera società capitalistica, a iniziare dal suo vertice politico-istituzionale: lo Stato.




nota 20 Un solo esempio, molto significativo, anche perché profondamente implicato nel processo di concentrazione dei «fattori produttivi». Con i miglioramenti tecnologici e organizzativi della produzione, e con quelli che hanno investito i mezzi di trasporto e di comunicazione, miglioramenti ottenuti soprattutto con l’impiego sempre più generalizzata ed economicamente finalizzata della prassi scientifica, tempo di lavoro (produzione) e tempo di circolazione (trasporto, vendita, trasformazione del denaro realizzato in capitale) si contraggono, con grande beneficio per il capitale investito nell’impresa. Marx scopre che l’accorciamento del tempo di rotazione, generato dalla contrazione temporale a monte e a valle del processo complessivo dell’accumulazione, non solo rappresenta un balsamo per il vitale saggio del profitto, ma alimenta un fenomeno che col tempo risulterà decisivo: la creazione di capitale monetario. Infatti, la contrazione del tempo di rotazione (somma di tempo di lavoro e tempo di circolazione), rendendo più fluido, rapido, profittevole ed economico il processo di cui sopra, libera capitali sempre più cospicui, che possono così cercar fortuna nell’ammiccante sfera finanziaria, dominio della Cornucopia. «Per l’esercizio del totale processo sociale di riproduzione (che comprende il processo di circolazione), una determinata parte del valore-capitale anticipato è superflua ed è perciò espulsa nella forma di capitale monetario (K. Marx, Il Capitale, II, p. 298, Editori Riuniti, 1980). Marx osserva come questo fenomeno di messa in libertà di capitali debba «sostenere una funzione importante quando si sviluppi il sistema creditizio», e debba «costituire contemporaneamente uno dei fondamenti dello stesso» (Ivi, p. 297). Come scrivo in Dacci oggi il nostro pane quotidiano, «La produzione totalmente automatizzata, priva di qualsiasi intervento umano, e il teletrasporto sono forse le due utopie capitalistiche più dure a morire: senza la fastidiosa presenza umana il Capitale si emanciperebbe dal conflitto con il lavoro, e col teletrasporto esso in pratica azzererebbe i suoi costosi tempi di rotazione, fonte di notevoli magagne» (p. 283).

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