Il solito coacervo di convergenti e antagonistici interessi si rappresenta oggi nella più o meno arbitraria contrapposizione tra la politica Merkel e il tecnico Schauble. Ma sarà davvero così, siamo certi che la contesa si svolga unicamente nel agone politico ? Alle loro spalle c'è, a mio avviso, una Germania a due velocità: produzioni ad altissimo valore aggiunto,
ad altissimo contenuto scientifico e tecnologico contrapposte a
produzioni più ordinarie che vincono la concorrenza anche grazie ad un
euro sottovalutato rispetto ad un ipotetico marco.
I capitali facenti capo a rami d'industria d'avanguardia hanno interesse ad un euro forte e in concorrenza con il dollaro come moneta di riserva internazionale, grazie al plusvalore relativo inglobato nelle merci prodotte (a sua volta generato dalla coesa società tedesca in cui tutte le infrastrutture sociali, ovverosia la società stessa, sembrano in questa fase ben armonizzate allo scopo) e che agiscono sul mercato internazionale in regime di monopolio o comunque di scarsa concorrenza, riuscendo così ad estrarre valore anche da capitali a bassa composizione organica. Queste elite un giorno potrebbero, se costrette dalla congiuntura, essere loro ad uscire dall euro, portandosi conseguentemente dietro un bel codazzo di paesi a raggiungere la massa critica necessaria a porsi comunque, anche in assenza delle nazioni cicala indebitate, fra le centralizzazioni capitalistiche più potenti del pianeta.
Queste punte avanzate come sempre si nutrono e si rinnovano su una base capitalisticamente più "ordinaria" dove al raggiungimento della redditività dell investimento concorrono ancora i rozzi fattori che vanno sotto il nome di estorsione del plusvalore assoluto (deflazione salariale, precariato) accanto a quelli dati dalla favorevole collocazione regionale (euro debole e suo relativo mercato unico) Solo per scrupolo aggiungo che il Capitale cerca sempre di sovrapporre entrambe le forme di sfruttamento. Questi capitali forse non si difenderebbero così bene nella contesa globale con la sola proverbiale produttività tedesca per unità di lavoro ; fazioni queste più vocate al conservatorismo, al variare poco o nulla nella strutturazione della moneta e del mercato unico europei.
Ma, come si è visto, questo equilibrio -che la Merkel, non Schauble, impersona- inizia a mostrare evidenti crepe di fronte ad una crisi mondiale complessiva del modo di accumulazione. Crisi che, al momento arginata con fatica, mostra di covare sotto la cenere e di essere pronta a riesplodere fragorosamente ed inaspettatamente ovunque.
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di Giovanni Boggero da Aspeniaonline 23/7/15
La vittoria del “no” al referendum popolare del 5 luglio scorso
in Grecia sembrava poter inaugurare una fase completamente nuova nella
storia dell'integrazione economica e monetaria dell'Unione. Un governo
nazionale, democraticamente legittimato e forte di un responso
elettorale inequivocabile, rispediva al mittente le condizioni per
ottenere una linea di credito da parte dei propri pari. Una volta
accantonato il duro regime di condizionalità, gli scenari che parevano
profilarsi in un orizzonte quanto mai prossimo erano sostanzialmente
due: prima ipotesi, una radicale trasformazione dell'Unione economica e
monetaria, nel senso di una istituzionalizzazione dei meccanismi
permanenti di perequazione fiscale e di comunione dei debiti pubblici
(quella che in Germania, con un pizzico di terrore, è chiamata Transferunion); ipotesi alternativa, l'uscita dalla moneta unica di uno Stato membro (l'ipotesi del Grexit).
In entrambi i casi, l'architettura economica e finanziaria
dell'eurozona come l'avevamo conosciuta da Maastricht fino a oggi
sarebbe radicalmente cambiata.
Il compromesso raggiunto nella
notte tra il 12 e il 13 luglio scorsi all'Euro Summit ha ribaltato
questa prospettiva. Non basta un governo nazionale, ancorché legittimato
da un plebiscito, a innescare un mutamento degli assetti istituzionali
fissati da un Trattato. Di più: in un'unione economica e monetaria, un
governo nazionale non può sottrarsi al giudizio dei propri pari. Al
contrario, più ancora del proprio popolo, un governo di uno Stato membro
deve godere della fiducia dei propri pari per poter essere parte attiva
di un'unione economica e monetaria stabile. Ecco, quindi che l'ipotesi
più recessiva e improbabile all'indomani del referendum è tornata
attuale la scorsa settimana: l'integrazione economica e fiscale lenta e
asimmetrica, imperniata sul metodo intergovernativo e fondata sul regime
di condizionalità. La cessione di sovranità da parte degli Stati membri
all'Unione continua cioè a essere il risultato di uno “stato di
eccezione” più che un disegno preciso dei “signori dei trattati” e, in
particolare, della cabina di regia franco-tedesca.
All'interno di
questo quadro è possibile spiegare anche la divergenza di vedute tra la
Cancelliera tedesca, Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze,
Wolfgang Schäuble. Mentre la Cancelliera ha sempre sottolineato la
necessità di trattare, anche a oltranza, pur di ottenere una conferma
del suo metodo e della sua gestione della crisi, il ministro delle
Finanze ha aperto (ancorché soltanto in un primo tempo) ad uno degli
scenari che il referendum greco rendeva imminente: il Grexit.
Questo disallineamento ai vertici del governo federale, che ha relegato
il partito socialdemocratico e il ministero degli Esteri (che ne è
espressione) nel ruolo di attori invisibili, non ha origine soltanto nel
temperamento più mite e riflessivo dell'una o in quello più esuberante e
impetuoso dell'altro. Per quanto la signora Merkel stimi e consideri il
settantatreenne Schäuble imprescindibile per dare credibilità alla sua
agenda europea, i due hanno, non da ieri, idee alquanto diverse sul
futuro dell'Unione Europea.
Mentre la Cancelliera appare priva di uno
slancio ideale verso grandi progetti di federalizzazione e bada più alla
conservazione dell'esistente e a controllare il barometro del consenso,
il ministro delle Finanze, quale ex-delfino di Helmut Kohl, ha una
visione abbastanza chiara di come l'Unione dovrebbe svilupparsi da qui
ai prossimi cinque-dieci anni. Nel suo intervento pubblicato dal
settimanale tedesco Die Zeit, l'ex-ministro delle Finanze
ellenico, Yanis Varoufakis, ne ha ben compreso i termini, anche se poi
ha erroneamente etichettato il piano con l'aggettivo “neo-liberista”.
Il
piano di Schäuble, lungi dall'essere segreto o dall'essere stato
compreso dal solo Varoufakis, è comunque abbastanza noto. Ne ha
tratteggiato le linee fondamentali lo stesso ministro tedesco in un
articolo per il Financial Times del maggio dello scorso anno e, prima ancora, in un paper intitolato Reflections on European Policy,
risalente al lontano 1994. Entrambi gli scritti sono stati firmati
anche da Karl Lamers, giurista come Schäuble e dirigente
cristianodemocratico con un passato nell'assemblea parlamentare della
NATO. Ebbene, l'idea è di un'integrazione europea a geometrie variabili
o, come si usa dire, a più velocità: a secondo degli ambiti o delle
materie, esisterà un nocciolo duro di Stati desideroso di approfondire
l'integrazione e un gruppo di Stati che invece deciderà di conservare i
propri poteri sovrani. Nell'eurozona, la cessione di sovranità dovrebbe
consistere in particolare nella creazione di un Parlamento dei diciotto
Stati della moneta unica e nell'istituzione di un commissario speciale,
capace di bocciare i bilanci preventivi degli Stati membri che non siano
conformi ai parametri individuati dai Trattati (il cosiddetto Sparkommissar).
Quest'ultima
proposta è emersa anche ufficialmente, nel gennaio 2012, sempre in sede
di eurogruppo e sempre con riferimento alla Grecia, ma fu subito
accantonata dopo le proteste di alcuni Stati membri, tra i quali la
Polonia dell'allora premier Donald Tusk. Anche in quella circostanza,
come è accaduto a metà luglio con le proposte di un Grexit temporaneo e di un controllo dei proventi delle privatizzazioni da parte dell'Institution for Growth in Greece
(a sua volta controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti tedesca, il
KfW), fu la Cancelliera Merkel a stemperare i toni e a ridimensionare il
contenuto di quelle idee dirompenti messe nero su bianco da Schäuble.
Un inasprimento della sorveglianza dell'Unione, del resto, è stato
comunque raggiunto con l'approvazione dei cosiddetti Six Pack e Two Pack, rispettivamente nell’autunno 2011 e nella primavera 2013. Oggi si può dire che, con l'accordo negoziato all'eurogruppo e concluso all'Euro Summit, lo Sparkommissar
stia informalmente muovendo i primi passi e incarni le sembianze
dell'olandese Jeroen Dijesselbloem – tecnicamente presidente
dell’eurogruppo.
Sennonché, a Schäuble è stata finora preclusa la
strada più congeniale per la realizzazione del suo progetto, quella
dell'Europa a più velocità. Per quanto la stessa Angela Merkel, in
passato, non abbia fatto mistero di poter un giorno accettare
un'integrazione asimmetrica, oggi la Cancelliera cerca ancora di
mantenere unita e compatta l'eurozona consegnatale da Kohl. Come ha
spiegato nel suo discorso al Bundestag del 18 luglio, non è possibile non offrire un'ultima chance
alla Grecia. Ne va non solo dell'euro, ma anche dell'Europa come
comunità politica fondata sul principio solidaristico. Alla fine, lo
stesso Schäuble, ottenuto un simulacro di Sparkommissar in
grado di imporre condizioni severe ad Atene, si è riallineato al
pensiero della Cancelliera, anche se, dalle colonne del settimanale Der Spiegel,
ha minacciato di rassegnare le dimissioni nelle mani del capo dello
Stato, qualora la gestione della crisi da parte di Berlino prendesse una
piega tale da non rispecchiare più le sue convinzioni.
Ad oggi,
tra le convinzioni granitiche di Schäuble ve n'è in particolare una,
intorno alla quale il rapporto con la signora Merkel potrebbe
deteriorarsi nei prossimi mesi. Forte di un sostegno crescente nel
gruppo parlamentare della CDU/CSU, il ministro delle Finanze tedesco ha
ripetuto sino alla noia che un taglio del valore nominale debito greco
non potrà mai esservi, fin quando la Grecia rimarrà all'interno
dell'Unione economica e monetaria. Lo vieterebbero i Trattati e in
particolare l'Art. 125 TFUE, che stabilisce il cd. divieto di bailout di uno Stato da parte di un altro. Secondo Schäuble un haircut
avrebbe effetti deleteri anche per la disciplina fiscale degli altri
Stati dell'Unione, dal momento che ridurrebbe la pressione degli
investitori a mantenere la finanza pubblica in ordine. In realtà, anche
secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, una
ristrutturazione del debito nei confronti dei creditori pubblici sarebbe
ammissibile purché ancorata al rispetto di alcune condizioni da
concordare con gli stessi creditori e inerenti in particolare il
mantenimento di una sana politica di bilancio. In altre parole, sia la
BCE, sia i veicoli di stabilizzazione EFSF ed ESM non violerebbero i
Trattati se accettassero una ristrutturazione (condizionata) del debito
greco.
Su questo punto, però, le opinioni di Merkel e Schäuble
divergono. D'altro canto, è più probabile che allo scenario di una
rottura tra i due, che pure non si può escludere, prevalga la via del
compromesso. In alcune recenti dichiarazioni, la Cancelliera ha
accantonato l'ipotesi che i Trattati possano essere emendati per
disciplinare la procedura di insolvenza per uno Stato membro
dell'eurozona, ma ha aperto, da un lato, a nuove misure per completare
il governo economico europeo e, dall'altro, a un alleggerimento del peso
del debito greco, non appena le riforme promesse da Atene saranno state
varate. Per alleggerimento non si intende ovviamente un taglio netto
del valore nominale dei titoli né una rinuncia ai prestiti, ma soltanto
un allungamento delle scadenze per il loro rimborso. Questa opzione
rappresenta comunque una forma di ristrutturazione del debito; e sarebbe
ad oggi condivisa con il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin,
e con gli altri partner internazionali, tra cui l'FMI. Resta solo da
capire se Schäuble si piegherà alle manovre morbide della Cancelliera e,
in tal caso, quale sarà la contropartita in termini di maggiore
accentramento dei poteri di sorveglianza e veto in materia economica,
fiscale e di bilancio.
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