Nell articolo la chiamano modernità, chiamiamola prassi sociale capitalista che trova mediazione e sintesi nello Stato capitalistico. Apparirà allora che non c'è nessun scontro di civiltà o religione, si tratta di sano imperialismo intercapitalista con modalità magari un pò plateali -ma lo show-businnes non è anche questo?- ma per nulla arcaiche.
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da Limesonline.com
di Anna Maria Cossiga e Federico Bonarota, originariamente intitolato "Se lo Stato Islamico diventa uno stato"
Forse ci eravamo cullati nell’idea che il cosiddetto Stato Islamico
(Is) avrebbe visto presto la fine. Nell’immaginario collettivo e nelle
favole i “buoni” hanno sempre la meglio sui “cattivi”, e più “cattivo”
dello Stato Islamico chi c’è? Le cose, tuttavia, sembrano andare
diversamente.
I jihadisti di al-Baghdadi controllano già un territorio grande quanto la Gran Bretagna, hanno di recente occupato Palmira, certamente mirano a prendere Damasco. Quanto a Baghdad, secondo John McLaughlin,
vice-direttore della Cia dal 2000 al 2004, è difficile che riescano a
conquistarla. Ma per demoralizzare gli oppositori del “califfato” non è
necessario farlo: sarebbe sufficiente “infiltrare combattenti e armi,
creando il caos”. Questa prospettiva appare del tutto realistica, anche
perché quella che dovrebbe essere la coalizione anti-Is non sembra
concludere molto.
I bombardamenti evidentemente non bastano
e addestrare quel che resta dell’esercito iracheno nemmeno. Come
sottolinea McLaughlin, “la gente non combatte perché viene addestrata;
combatte perché crede in qualcosa. Al momento, i più convinti credenti
della regione appoggiano lo Stato Islamico”. Per non parlare del
fatto che l’Is può contare su paesi pronti a voltare lo sguardo
dall’altra parte. Insomma, non è del tutto improbabile che il
“califfato” possa diventare uno Stato vero e proprio, un’entità politica
con cui la comunità internazionale dovrà, prima o poi, avere rapporti.
Nonostante la marcata antipatia dell’Is per lo Stato-nazione occidentale,
esso ha interiorizzato alcune delle caratteristiche di quello che
definiamo “Stato moderno”: fare la guerra, reclutare uomini, imporre
tasse, creare istituzioni, rivendicare la sovranità e la legittimazione
della propria autorità sono le azioni attraverso cui gli Stati si sono
formati e oggi controllano un determinato territorio.
Secondo Joe Painter e Alex Jeffrey, “gli Stati ritengono di avere il diritto di pretendere che i residenti sul proprio territorio si comportino in un certo modo, astenendosi da determinate azioni, e di ricevere obbedienza”, applicando una certa coercizione perché i cittadini rispettino le leggi e punendo i trasgressori.
Secondo Joe Painter e Alex Jeffrey, “gli Stati ritengono di avere il diritto di pretendere che i residenti sul proprio territorio si comportino in un certo modo, astenendosi da determinate azioni, e di ricevere obbedienza”, applicando una certa coercizione perché i cittadini rispettino le leggi e punendo i trasgressori.
Il “califfato” non si discosta molto da tali posizioni:
fa la guerra, impone tasse, crea istituzioni, rivendica sovranità e
legittimazione alla propria autorità, anche se poi i metodi impiegati
per raggiungere lo scopo, il tipo di coercizione e le punizioni
applicate sono ai nostri occhi barbarie pre-moderna (il che non
significa che un tempo nemmeno tanto lontano non facessimo anche noi
esattamente lo stesso, a casa nostra prima, nelle colonie poi).
Anche la questione nazionale, che piace tanto a noi moderni,
è in fondo presente nello Stato islamico, sebbene non su base “etnica”
ma religiosa. Si può parlare di una “nazione islamica” a prescindere dai
paesi di provenienza e dalle differenze culturali presenti nell’islam.
Si tratta, in fondo, di un altro passo indietro nella pre-modernità, in
un periodo in cui ad esempio la cristianità indicava un’estesa comunità
di credenti che aveva molta più importanza delle piccole comunità
regionali e locali.
Siamo sicuri che qualunque salto nel passato sia negativo?
O non sarà che idee quali l’Europa unita, che tanto moderna ci sembra,
richiamano alla mente quell’unità culturale che proprio la nascita dello
Stato-nazione ha frammentato? Possibile che, tralasciando gli orrori
commessi dai suoi uomini, lo Stato Islamico stia concretizzando un
concetto di unità al quale anche noi tendiamo?
Uno dei maggiori errori commessi dai media è lasciar passare il messaggio
che i cosiddetti fondamentalismi religiosi – dunque, il salafismo del
Nuovo Califfato – combattano la modernità occidentale. Essi rifiutano
certamente la morale e le forme di governo moderne, ma non la modernità
in sé, come dimostra l’uso sapiente della tecnologia e dei nuovi media. I
jihadisti insomma, richiamandosi all’età dell’oro dell’islam con le sue
pratiche crudeli (identiche alle nostre in quegli anni e dopo), sono
figli della modernità quanto noi.
La globalizzazione che crediamo di aver inventato noi la stanno mettendo in pratica loro,
creando un tipo di Stato che si rivela molto simile al nostro; anzi,
che è ancora più moderno del nostro perché transnazionale nelle sue
intenzioni.
Questo Stato esiste, anche se ancora in una forma rudimentale. Barry Posen sostiene
che dovremmo comportarci con l’Is come ci siamo comportati con i
movimenti rivoluzionari che, alla fine, sono riusciti a creare uno Stato
vero e proprio. Stephen Walt
ricorda che “la comunità internazionale ha cercato spesso di
ostracizzare tali movimenti ed è stata costretta a riconoscerli di
malavoglia dopo che hanno dimostrato di poter continuare ad esercitare
il potere”. Cita il caso dell’Unione Sovietica, che gli Usa hanno
riconosciuto solo nel 1933, o della Repubblica Popolare Cinese, che ha
visto il riconoscimento statunitense solo nel 1979. E che dire
dell’Iran?
Certo, il Califfato non ha né l’estensione né il potere militare ed economico
degli esempi citati. Ma continuando nella sua avanzata, o anche solo
riuscendo a mantenere per un certo periodo il territorio già
conquistato, è possibile che altri Stati finiscano per riconoscergli una
qualche forma da legittimità. Citando ancora Walt, ricordiamo che
quegli stessi Stati derivanti da sommovimenti rivoluzionari a un certo
punto hanno dovuto inevitabilmente abbandonare le loro posizioni
“puriste” in fatto di ideologia e le loro pratiche feroci proprio per
essere accettati nel consesso internazionale.
Alla fine, “tutti gli Stati radicali diventano socializzati all’interno del sistema”.
Perché questo non dovrebbe accadere anche per lo Stato Islamico? Al
Baghdadi giocherà anche a fare il “califfo” discendente di Maometto che
conquista territorio usando la brutalità più estrema per sottomettere la
popolazione; ma, come tutti gli uomini di potere, crediamo sia anche un
pragmatico e un realista e che potrebbe scegliere di fare quello che
hanno fatto gli ayatollah prima di lui. L’Is non è l’Iran, lo ripetiamo,
ma potrebbe diventare uno Stato salafita, come lo è, per esempio, la
nostra alleata Arabia Saudita, anche se meno ricco; uno Stato che magari
un giorno per quanto orribile o assurdo possa sembrare, siederà alle
Nazioni Unite, seppure inserito nella lista degli “Stati canaglia”. È
quello che si aspetta Walt stesso ed è quanto intendevamo quando,
qualche mese fa, sostenevamo che avremmo dovuto dialogare con il Califfo.
Forse sperare di trovare una base di umanità comune
sembrava ingenuo, ma crediamo che la Realpolitik avrebbe dovuto
condurci in quella direzione. Probabilmente il dialogo sarà inevitabile
in un futuro non tanto lontano. Per citare ancora Walt: “Che cosa
dobbiamo fare se lo Stato Islamico vince? Conviverci”.
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