Un testo del gennaio 2012, Dalla crisi di plusvalore alla crisi dell' euro,scritto da Guglielmo Carchedi, reperibile in rete. Forse per divinare sul futuro greco conviene dare un occhiata a Berlino.
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Primo, la Germania (o meglio detto quella frazione della borghesia
tedesca che vuole difendere l’euro ma a condizione che rimanga una
moneta forte) e gli altri paesi finanziariamente più forti (come
l’Olanda e la Finlandia) lasciano che i paesi deboli falliscano (la
Grecia e il Portogallo). I paesi deboli lascerebbero la UE perché ancor
meno in grado di rispettare i parametri di Maastricht. Probabilmente
alcuni di tali paesi rinuncerebbero anche all’Euro. Ma ciò non è
necessario, essi potrebbero ‘eurorizzare’ le proprie economie pur non
facendo più parte della UE, come hanno fatto alcuni paesi
latinoamericani (per esempio, Panama nel 1904, l’Ecuador nel 2000, El
Salvador nel 2001) che hanno dollarizzato le proprie economie senza
essere parte del sistema economico USA.
Sembrerebbe
che questa sia la soluzione più soddisfacente per il blocco dei paesi
forti, in primis la Germania, per tre motivi. Primo, l’area economica in
cui viene usato l’euro non sarebbe ridotta in modo significativo se uno
o due dei paesi più piccoli lascassero l’euro. Secondo, i paesi forti e
la UE non sarebbero più responsabili per le economie e quindi per i
debiti dei paesi deboli, “eurorizzati”.7 Terzo, l’eurozona si
ridimensionerebbe ai soli paesi ‘virtuosi’ e l’euro diventerebbe la
moneta di quella zona, un euro ‘nordico’.L’euro nordico diventerebbe
l’espressione di economie forti e sarebbe in grado di sfidare il dollaro
anche perché anche il dollaro si sta indebolendo, come sottolineato dal
recente declassamento dei titoli USA per la prima volta.
Tuttavia,
il fallimento dei paesi deboli scatenerebbe tutta una serie di
fallimenti bancari le cui ramificazioni si estenderebbero anche ai paesi
forti. Ciò potrebbe scatenare ciò che ad ora si è potuto posporre.
Molte banche tedesche e francesi hanno nelle loro casse quantità ingenti
di derivati ‘tossici’, cioè derivati che nei loro bilanci appaiono al
loro valore nominale mentre in effetti essi hanno perso una parte o la
totalità del loro valore a causa della perdita di valore dei
collaterali. In caso di necessità, quelle banche dovrebbero vendere quei
derivati ma il mercato darebbe loro solo una frazione del loro valore
nominale. Apparirebbe il rischio di insolvenza con conseguente corsa
agli sportelli. Gli USA non ne sarebbero immuni. Le banche USA hanno
imprestato 60.5 miliardi alle banche dei paesi a rischio (Grecia,
Irlanda, Portogallo, Spagna, e Italia) ma ben 275,8 miliardi alle banche
francesi e tedesche. Si imporrebbe quindi un ulteriore intervento
finanziario da parte dei governi dei paesi forti al fine di salvare il
proprio sistema bancario. Gli effetti sull’euro nordico dipenderebbero
dalla quantità e dalle modalità degli interventi così come da un numero
di altri fattori. Per ora essi sono imprevedibili. Non è escluso che se
anche una o più delle maggiori nazioni dovessero uscire dall’eurozona,
l’euro nordico diventerebbe l’espressione di una realtà economica troppo
limitata per poter rimpiazzare il dollaro come moneta internazionale.
Sorge
quindi la domanda su quale sia il piano strategico di questa parte
della borghesia tedesca. Una ipotesi che è stata ventilata è che lo
sganciamento dall’euro debole e il passaggio all’euro forte potrebbe
favorire un nuovo indirizzo strategico della Germania, l’espansione
verso la Russia e la Cina, due paesi con immense riserve di materie
prime e relativamente (alla Germania) a relativamente basso livello di
sviluppo tecnologico. Queste sono le condizioni ideali per
l’appropriazione di valore da parte della Germania. Nell’ambito della
UE, la Germania si appropria già di plusvalore prodotto da altri paesi
meno avanzati (vedi la sezione IV) più sotto. Ma i vantaggi di una nuova
direzione sarebbero molto maggiori. L’euro nella sua forma attuale, coi
suoi costi per la Germania, sarebbe un ostacolo per questo progetto.8
Che questa sia l’ipotesi considerata o no, le incognite inerenti al
trapasso sono molte e pericolose.
Per
questo, un’altra frazione della borghesia tedesca preferisce mantenere
l’euro attuale anche a costo di indebolirlo, nella speranza che dopo la
bufera riguadagni e rinforzi ulteriormente la sua posizione vis-à-vis il
dollaro. Quindi, i paesi deboli dovrebbero essere salvati dalla
bancarotta. Qui il ruolo delle istituzioni finanziarie della UE diventa
cruciale.[...]
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