domenica 6 novembre 2016

Ballad of a thin man (la fantomatica coscienza di classe #9)

Because something is happening here
But you don’t know what it is
Do you, Mister Jones?
 
Dagli epistolari di Engels il ritratto delle maschere di carattere che presidiano la politica e la cultura: sembrano impersonare se stessi invece non sanno neanche chi li manda. Faranno il loro mestiere comunque, a causa o malgrado le loro idee e proposte, non dubitatene. Il mondo borghese, dopo la conquista del pianeta, sembra si stia secolarizzando: ciò non vuol dire che sia nella sua natura farlo. E' una rivoluzione esigente e continua, portata a tutti i livelli sociali, il suo modo d'essere.---

Aggiornamento: Trump ha vinto la contesa, in questa mostruosa fase storica di transizione le tensioni manifeste e latenti che attraversano i vari corpi sociali  prendono la faccia degli outsider e della rottura almeno apparente della continuità politica. E' stato così per Obama (che fu a sua volta un outsider 8 anni fa), la cui politica è stata bocciata, così pochi mesi fa per la "impossibile" brexit. Trump non ce lo vedo ad uscire troppo fuori dai binari (apparati permettendo) ma di fatto la voglia di protezione statale contro gli enormi pericoli che i popoli dell'ex parte avanzata del capitalismo mondiale stanno correndo è tanta.  

A me pare che avremmo tanto da imparare dagli USA, sia per la genuinità che per gli infingimenti con cui lo spirito capitalista lì si mostra. Nego qualsiasi superiorità di qualsiasi tipo tra un europeo e un americano, ovvero tra i due modelli. Il fatto che quando pensiamo all' America ci troviamo di fronte alla potenza imperialista più forte del mondo da un secolo -e oggi non proprio più all' avanguardia  e senza l' abbrivio al profitto che hanno altri- a me semmai fornisce motivo di interesse e una certa ammirazione.  Forse sono succube del mito americano.


Gli uomini fanno essi stessi la loro storia, ma finora neppure in una determinata società ben delimitata, non con una volontà collettiva, secondo un piano d’assieme. I loro sforzi si intersecano contrastandosi e, proprio per questo, in ogni società di questo genere regna la necessità, il cui complemento e la cui forma di manifestazione è l’accidentalità. La necessità che si impone attraverso ogni accidentalità è di nuovo, in fin dei conti, quella economica. Qui è il momento di trattare dei cosiddetti grandi uomini. Il fatto che il tale uomo, quello e non altri, sia comparso in quel momento determinato, in quel determinato paese, è naturalmente un puro caso. Ma sopprimiamolo, e c’è subito l’esigenza di un sostituto, e questo sostituto lo si trova, bene o male, ma a lungo andare lo si trova. Che proprio Napoleone, questo còrso, fosse il dittatore militare reso necessario dal fatto che la repubblica francese fosse stremata dalle proprie guerre, fu un caso; ma che, in assenza di Napoleone, un altro ne avrebbe preso il posto, è provato dal fatto che ogni qualvolta era necessario si è sempre trovato l’uomo adatto: Cesare, Augusto, Cromwell ecc. Se Marx ha scoperto la concezione materialistica della storia, Thierry, Mignet, Guizot e tutti gli storici inglesi fino 1850 dimostrano che vi era una tendenza in questo senso, e la scoperta della stessa concezione da parte di Morgan prova che i tempi erano maturi per essa e che la si doveva necessariamente scoprire.

Lo stesso vale per tutti gli altri fatti casuali o apparentemente casuali nella storia. Quanto più il terreno che stiamo indagando si allontana dall’Economico e si avvicina al puro e astrattamente ideologico, tanto più troveremo che esso presenta nella sua evoluzione degli elementi fortuiti, tanto più la sua curva procede a zigzag. Ma se Lei traccia l’asse mediana della curva troverà che quanto più lungo è il periodo in esame, quanto più esteso è il terreno studiato, tanto più questo asse corre parallelo all’asse dell’evoluzione economica.

[...] secondo la concezione materialistica della storia la produzione e riproduzione della vita reale è nella storia il momento in ultima istanza determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno distorce quell'affermazione in modo che il momento economico risulti essere l'unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura - le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa - costituzioni stabilite dalla classe vittoriosa dopo una battaglia vinta, ecc. - le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni religiose ed il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma. È un'azione reciproca di tutti questi momenti, in cui alla fine il movimento economico si impone come fattore necessario attraverso un'enorme quantità di fatti casuali (cioè di cose e di eventi il cui interno nesso è così vago e così poco dimostrabile che noi possiamo fare come se non ci fosse e trascurarlo).

Ma in secondo luogo la storia si fa in modo tale che il risultato finale scaturisce sempre dai conflitti di molte volontà singole, ognuna delle quali a sua volta è resa quel che è da una gran quantità di particolari condizioni di vita; sono perciò innumerevoli forze che si intersecano tra loro, un gruppo infinito di parallelogrammi di forze, da cui scaturisce una risultante - l'avvenimento storico - che a sua volta può esser considerata come il prodotto di una potenza che agisce come totalità, in modo non cosciente e non volontario. Infatti quel che ogni singolo vuole è ostacolato da ogni altro, e quel che ne viene fuori è qualcosa che nessuno ha voluto. Così la storia, quale è stata finora, si svolge a guisa di un processo naturale, ed essenzialmente è soggetta anche alle stesse leggi di movimento. Ma dal fatto che le singole volontà - ognuna delle quali vuole ciò a cui la spinge la sua costituzione fisica e le circostanze esterne, in ultima istanza economiche (le sue proprie personali o quelle generali e sociali) - non raggiungono ciò che vogliono, ma si fondono in una media complessiva, in una risultante comune, da questo fatto non si può comunque dedurre che esse vadano poste = 0. Al contrario, ognuna contribuisce alla risultante, e in questa misura è compresa in essa.

[...] L'ideologia è un processo che il cosiddetto pensatore compie bensì con coscienza ma con falsa coscienza. Le vere forze agenti che lo muovono gli restano sconosciute; se così non fosse, non si tratterebbe di un processo, appunto, ideologico. Egli quindi si immagina delle false o, rispettivamente, illusorie forze agenti. Trattandosi di un processo raziocinante, egli ne deduce sia il contenuto sia la forma dal puro pensiero, il suo o quello dei suoi predecessori. Lavora con puro materiale intellettivo che, senza accorgersene, egli crede prodotto dal pensiero, non preoccupandosi di andare in cerca di un'origine più remota, indipendente dal pensiero; e tutto ciò gli riesce di per sé evidente, perché ogni azione in quanto mediata dal pensiero, gli appare anche fondata nel pensiero.

L'ideologo storico (qui, storico deve stare sinteticamente per politico, giuridico, filosofico, teologico, insomma per tutti i campi appartenenti alla società e non soltanto alla natura*),  l'ideologo storico, dunque, dispone in ogni campo scientifico di un materiale enucleatosi autonomamente dal pensiero di generazioni precedenti e che ha percorso nel cervello di queste successive generazioni una serie autonoma e tutta sua propria di sviluppi. Certo, fatti esterni, appartenenti al suo o ad altri campi, possono avere influito in modo codeterminante su tali sviluppi; ma questi fatti, secondo la tacita premessa, non sono a loro volta che semplici frutti di un processo intellettivo, e così continuiamo a muoverci nell'ambito del puro pensiero, il quale, a quanto sembra, ha felicemente digerito anche i fatti più duri.

 A tutto ciò si collega la sciocca concezione degli ideologi, secondo cui, poiché neghiamo alle diverse sfere ideologiche che recitano una parte nella storia uno sviluppo storico indipendente, negheremmo loro anche ogni efficacia storica. Alla base di ciò è la volgare concezione antidialettica di causa e di effetto come poli rigidamente contrapposti, l'assoluta dimenticanza dell'azione e reazione reciproca. Che un fattore storico, una volta dato alla luce da altre cause, in definitiva economiche, possa a sua volta reagire sul mondo circostante perfino sulle sue stesse cause, quei signori lo dimenticano, spesso, quasi di proposito.



*noi invece sappiamo, vedi post precedente, che anche le scienze "naturali" non sono affatto esenti da  ideologia: lo scienziato, teorico o sperimentale, sia soggettivamente che oggettivamente, è anch' esso un nodo della inestricabile rete sociale che ci orienta già alle nostre spalle. Non è questione di pura intelligenza, che ha il suo ruolo ovviamente, sottrarvisi per qualche momento e porla di fronte a noi.

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