martedì 30 aprile 2019

Tecno politica








 Da Aspenia a cura di Niccolo Serri

È interessante analizzare il cambio di paradigma prodotto dall’intelligenza artificiale prendendo in considerazione come le principali potenze stiano raccogliendo la sfida tecnologica dell’IA nell’ambito della propria strategia di sicurezza nazionale. In un quadro da nuova guerra fredda che vede Stati Uniti e Cina opposti in una lotta per l’egemonia di questo nuovo settore, l’Unione Europea resta indietro. Il vecchio continente manca di dinamicità e di grandi imprese ad alta tecnologia. Soprattutto, investe poco in IA. Per risollevarsi, Bruxelles dovrà investire con più decisione su un modello di sviluppo etico delle nuove tecnologie, culturalmente compatibile con i propri valori.

Proprio nel campo della difesa, gli effetti dell’IA promettono di essere dirompenti, rivoluzionando il modo in cui i conflitti militari saranno combattuti e vinti. L’applicazione degli algoritmi, unita agli sviluppi nella robotica avanzata, sta già modificando i campi di battaglia, migliorando l’autonomia decisionale di molte apparecchiature belliche, dai veicoli aerei a quelli terrestri. Questi sviluppi stanno creando un contesto in cui l’elemento umano viene spinto ai margini delle zone di combattimento. E non è un caso che molti intellettuali e imprenditori, da Stephen Hawking a Elon Musk, si siano schierati apertamente contro l’utilizzo di macchine letali autonome (laws – Lethal Autonomous Weapons). Ma non solo: l’IA ha aperto nuovi fronti di scontro digitale fra le potenze, spostando il tema della sicurezza nazionale sul piano cyber delle relazioni uomo macchina, dove a contare sono i dati. La connettività legata all’Internet of Things permette nuove forme avanzate di spionaggio; e non è lontano il momento in cui sarà possibile attaccare preventivamente l’avversario e smantellarne le difese attraverso attacchi hacker mirati. Negli Stati Uniti, a inizio 2018, l’amministrazione Trump ha dato il via a una collaborazione con Google per migliorare i meccanismi di riconoscimento visivo dei propri droni: si tratta del progetto Maven, che il colosso di Mountain View ha però fatto sapere di non voler rinnovare quest’anno, dopo le proteste dei propri impiegati. Dalla Russia a Israele – fino a Stati minori come Singapore, i quali possono contare su un minor numero di effettivi militari – sono in molti a sfruttare l’opportunità di automatizzare la guerra.


LA TRASFORMAZIONE DELLE BASI DELLA POTENZA NAZIONALE. Ma la trasformazione è più ampia: lo sviluppo dell’IA influenzerà le basi della geopolitica internazionale a un livello più profondo della semplice struttura militare. Come ha sottolineato Michael Horowitz, l’IA non è una tecnologia monouso, ma un general enabler, simile alla macchina a vapore o alla scoperta dell’energia elettrica, con ricadute trasversali in vari settori economici. Secondo le stime di McKinsey, l’automazione porterà alla sostituzione di più di un terzo dei lavori attualmente esistenti entro il 2030, con importanti guadagni di produttività nel settore industriale e in quello dei servizi. La trasformazione economica non sarà semplice, con l’inevitabile informatizzazione dell’amministrazione e ristrutturazione dello stato sociale che essa comporterà.

L’implementazione di un numero crescente di tecnologie legate all’IA, con i suoi effetti diretti sulla crescita, andrà ad alterare le basi economiche della potenza nazionale, aumentando le diseguaglianze fra quei paesi in grado di abbracciare l’innovazione e i ritardatari. Per sua natura, l’IA è un settore dove esistono grandi vantaggi posizionali – in termini strategici il first-mover advantage. L’industrializzazione dell’intelligenza, infatti, non ha soltanto ricadute economiche immediate, ma tende anche ad accelerare il tasso di sviluppo dell’intero ecosistema tecnologico nazionale, innescando un circolo virtuoso di sviluppo che può scavare rapidamente un solco con altri paesi tecnologicamente arretrati. L’aumento della portata e velocità di connessione di molti dispositivi, attraverso innovazioni come il 5G, aumenterà esponenzialmente la capacità di raccogliere e analizzare nuovi dati da dare in pasto alle macchine. Resta la questione di chi controllerà le nuove strutture della connettività.


LA GEOGRAFIA DELLE NUOVE TECNOLOGIE. Data la centralità geopolitica delle nuove tecnologie, non è un caso si sia sviluppata una forte competizione fra le principali potenze. Come durante gli anni della corsa allo spazio durante la Guerra Fredda, la sfida tecnologica dell’IA ha subito assunto tinte nazionalistiche. Già nel settembre 2017, Il presidente russo Vladimir Putin ha profetizzato che chi diventerà leader in questo settore, “governerà il mondo”. Gli Stati Uniti d’America, culla della civiltà di internet e della ricerca in robotica, mantengono ancora un primato a livello globale in termini di capacità computazionale totale e di applicazioni della tecnologia orientate al settore del business. Nel solo 2017, hanno attratto più di 10 miliardi di dollari di venture capital nel settore dell’IA, sommati a finanziamenti pubblici e investimenti strategici delle grandi compagnie della Silicon Valley come Apple e Facebook. Tuttavia, questo sviluppo tecnologico non è trainato da un quadro strategico pubblico, ma da un modello di innovazione basato su un sostanziale laissez-faire in cui il settore dell’IA rimane scarsamente regolato e alle aziende private viene lasciata sostanziale autonomia decisionale. Questo garantisce un sistema economico dinamico, ma ha anche alcuni lati negativi, individuati da uno studio commissionato da Barack Obama al Science and Technology Policy Office della Casa Bianca nel 2016 che ha evidenziato la difficoltà dell’amministrazione a incanalare la ricerca in ia verso settori ritenuti strategici, come il militare, nonostante le sue numerose possibili applicazioni duali.

LA GUERRA FREDDA HI-TECH. A contendersi la leadership con gli Stati Uniti è la Cina che, a partire dal luglio 2017, ha dato il via a massicci investimenti attraverso un piano di sviluppo decennale per lo sviluppo dell’IA, mobilitando le proprie ingenti risorse per ottenere il primato nelle nuove tecnologie. I ritardi strutturali del colosso asiatico sono molti, a partire da un modello di sviluppo economico che negli anni passati ha investito poco sul contenuto tecnologico delle proprie esportazioni. Tuttavia, l’approccio centralizzato del governo della Repubblica popolare ha portato a risultati immediati, utilizzando le grandi aziende del settore – Weibo, Tencent e Alibaba – come vere e proprie estensioni della propria politica industriale. Già oggi, la Cina possiede il maggior numero di supercomputer fra primi 500 al mondo ed eccelle per numero di articoli scientifici pubblicati nell’ambito del deep learning. Pechino ambisce a diventare la superpotenza mondiale del settore entro il 2030, con un’industria legata all’ia del valore stimato di più di un miliardo di renminbi.

I rapidi progressi tecnologici della Cina hanno riacceso la competizione geopolitica con gli Stati Uniti, già in fermento per le promesse neoprotezioniste di Donald Trump. Di recente, la schermaglia si è concentrata sulla compagnia di telecomunicazioni cinese Huawei, accusata di spionaggio industriale e messa al bando dai paesi anglosassoni che fanno parte della rete d’intelligence dell’accordo multilaterale UK-USA.


L’AUTORITARISMO DIGITALE. Ma la competizione ha anche aspetti ideologici. Proprio con riferimento al modello di sviluppo tecnologico cinese, l’organizzazione non governativa Freedom House ha parlato di “autoritarismo digitale”, sottolineando come l’IA e l’analisi dei big data su scala massiccia abbiano consentito alla Repubblica popolare cinese di abbattere drasticamente i costi del proprio apparato repressivo. Dal 1994, il Grande Firewall di Pechino opera una censura preventiva sui contenuti internet ritenuti socialmente pericolosi. Lo sviluppo di algoritmi di analisi automatica e riconoscimento facciale ha esteso il sistema di sorveglianza a molti ambiti della vita fisica e digitale dei cittadini cinesi, trasformando il social network Weibo e l’app di messaggistica WeChat in meccanismi di controllo preventivo del dissenso.

A partire dal 2015, le autorità hanno anche cominciato a introdurre un sistema di credito sociale che, incrociando i dati di vari dispositivi, assegna una graduatoria alla condotta di ciascun cittadino. L’uso politico dell’IA ha, in sostanza, trasformato internet da strumento di liberazione individuale in un panopticon a uso e consumo del governo. Questo mette in crisi la posizione di quanti hanno sempre pensato che sviluppo tecnologico fosse sinonimo di liberazione individuale ed entra in contrasto con i cardini del modello politico liberale, basato sulla centralità democratica del binomio privacy e diritti di proprietà.

Il panorama internazionale, dal punto di vista “tecno-politico” si sta, dunque, ridefinendo in termini di un nuovo bipolarismo, con Stati Uniti e Cina impegnati in una lotta per l’influenza internazionale lungo le direttrici della propria espansione commerciale. Il progetto cinese per una Nuova Via della Seta attraverso l’Eurasia prevede un’importante parte di investimenti infrastrutturali in cablatura e reti radiomobili, mentre le tecnologie messe a punto dalle aziende di Pechino vengono già esportate in altri contesti autoritari nel Medio Oriente e Africa. La Russia gioca, per ora, un ruolo secondario, concentrandosi su forme di IA più aggressiva per uso militare e per attuare forme di disturbo nei processi politici dei propri avversari. In questo contesto, l’Unione Europea rischia di rimanere schiacciata e vedere la propria posizione strategica compromessa. Secondo uno studio di PricewaterhouseCoopers, allo stato attuale, il 70% dell’impatto economico globale dell’IA si concentrerà in Nord America e in Cina.


IL RITARDO EUROPEO. L’Europa resta il più grande hub per la ricerca in IA e robotica, con un numero di articoli scientifici superiore a Cina e Stati Uniti, ma fatica a trasformare questo primato in potenza economica e tecnologia pratica. In primis, questo è dovuto alla mancanza di un quadro coordinato di politica industriale a livello centrale, con gli Stati membri che continuano a muoversi in modo largamente autonomo rispetto a Bruxelles. La Francia, ad esempio, ha fatto dell’IA una propria priorità strategica, affidando al matematico Cedric Villani una task force parlamentare per mettere a punto delle linee guida per lo sviluppo del settore, pubblicate a marzo 2018 nel rapporto ai for Humanity. La Germania, invece, manca ancora di un piano nazionale per l’IA, operando soprattutto a livello di governo regionale (ad esempio, il finanziamento di una “cyber valley” da parte del Baden Württemberg). Vi sono poi una serie di Stati minori, come Estonia e Finlandia, che stanno cercando di integrare gli algoritmi nella propria pubblica amministrazione – anticipando l’impatto che le nuove tecnologie avranno sulle strutture dello Stato – ma restano troppo marginali per agire da volano di sviluppo per l’intera Europa.

La mancanza di politica industriale integrata a livello europeo nel settore dell’IA ha impedito la nascita di national champions capaci di tenere testa alla competizione dei colossi sino-americani e promuovere gli interessi del vecchio continente. Secondo Stratfor, la SAP SE è l’unica azienda hi-tech europea a essere valutata a più di 100 miliardi di dollari. L’incapacità di favorire lo sviluppo della grande impresa nei settori tecnologicamente avanzati si riflette anche in un ecosistema meno innovativo per le start up. Sempre secondo Stratfor, in Europa ci sono solamente due dozzine di “unicorni” – nuove imprese con una valutazione di almeno un miliardo di dollari. Negli Stati Uniti sono più di un centinaio. Soprattutto, circa metà delle start up europee attualmente impegnate nel campo dell’IA hanno sede nel Regno Unito. La Brexit avrà, quindi, importanti ripercussioni, non soltanto geopolitiche ma anche per la politica tecnologica dell’Europa.

4 commenti:

  1. Signor Zittito, lei non lo sa ma io sono un fan di Eugenij sin da quando scaricavo l'antivirus craccato nel lontano'97.
    Ciò non toglie che gli algoritmi e le reti neurali back propagation siano molto utili.

    https://eugene.kaspersky.it/2016/09/09/la-bolla-artificiale-dellintelligenza-artificiale-e-il-futuro-della-cybersicurezza/

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  2. Mi accorgo ora che la piattaforma si è mangiata la risposta..

    Allora direi che dovremmo oramai sapere che il Capitale è così sicuro di sé, di riuscire a mettere a profitto prima o poi, da finanziare anche gli ambiti di ricerca considerati al momento più speculativi o addirittura incredibili

    Siamo portati a credere che l' ambito speculativo sia puro e libero dalle finalità di profitto, invece esse agiscono solo più indietro e alle spalle e con tempi più lunghi

    La terribile storia della vita di Tesla ha insegnato ai capitalisti che la scoperta dello scienziato va messa in rete per fruttare

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    1. ... il ragionamento non fa una piega.
      E d'altra parte sia il capitale sta cercando forme di vantaggiose forme di remunerazione a lungo termine sia molti pescecani stanno cercando bolle su cui lucrare a breve termine.
      E vista l'attuale concentrazione di capitali, si vedono anche questi repentini spostamenti di risorse.
      Come al solito, grazie dello spunto.

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