Due articoli per dipanare il groviglio di interessi e di cerchie di potere sovrapposte (di livelli locale, regionale e globale) che ha trovato in Aleppo il punto di messa a terra attraverso cui scaricare la tensione e misurare le strategie vincenti e quelle errate, le alleanze vecchie, quelle nuove, prima fatte, poi disfatte, poi negate. Il risultato di morte e distruzione non finirà qui.
Siamo tutti ostaggi, dall' antichissima Aleppo alla capitale d' Europa Berlino e perfino a Mosca, di una cieca necessità di potenza che dà luogo solo a se stessa con sempre maggior furia. Farla finita con l' accumulazione, fuoriuscire dalla sua struttura generale di gestione: lo stato. ---
Il dramma di Aleppo è che i guerriglieri di Al Nusra tengono in ostaggio i civili e non intendono arrendersi alle condizioni del regime di Damasco. A loro volta le truppe di Assad non esitano a bombardare a tutto spiano anche i civili. Gli iraniani non vogliono mollare i jihadisti di Aleppo se non in cambio della fine dell'assedio degli sciiti di Fuaa e Kefraya nell'area di Idlib. La Russia e la Turchia (che con l'Iran si troveranno a Mosca il 27 dicembre) fanno finta di negoziare per salvarsi reciprocamente la faccia: Putin non vuole passare come il macellaio di Aleppo ed Erdogan deve farsi perdonare di avere mollato i jihadisti che ha sostenuto fino a ieri contro Assad prendendo i soldi delle monarchie del Golfo. Gli Stati Uniti ad Aleppo si erano impegnati a separare la sorte della guerriglia dei jihadisti di Al Nusra dalle altre formazioni ma avendo sostenuto anche i qaidisti in funzione anti-Assad hanno molto da nascondere e poco da dire di fronte alla sconfitta. Quasi ne uccide più l'ipocrisia che le bombe. (A.Negri-Sole24ore-15 dic)
Aleppo è stata, per quattro anni, divisa non in due, come dicono i giornalisti in queste ore, ma in tre: il regime a ovest, i movimenti islamisti ad est e le forze rivoluzionarie promosse dai curdi a nord. Questa situazione è stata il prodotto di due rivoluzioni tra loro parallele e antagoniste, quella teocratica (Aleppo est) e quella confederale (Aleppo nord). Per comprendere le premesse di questa situazione è necessario tenere presente che la lotta armata iniziata nel 2011, benchè connessa con la rivolta che l’ha preceduta, non è ad essa storicamente sovrapponibile, ed ha avuto bisogno, per sua stessa natura, di una pianificazione, un’organizzazione e un equipaggiamento che la popolazione civile non sarebbe stata in grado di procurarsi. Per questo la Siria è diventata non soltanto teatro di scontro sociale, ma anche internazionale. I milioni di dollari necessari alla logistica, all’armamento e alla propaganda dell’insurrezione, oltre che gli stipendi dei combattenti e il loro addestramento, sono arrivati ad Aleppo come altrove tra il 2011 e il 2012 dalle potenze regionali ostili all’asse siro-iraniano – Turchia, Arabia Saudita, Qatar – e dai loro alleati europei e americani: Francia, Inghilterra, Stati Uniti.
Siamo tutti ostaggi, dall' antichissima Aleppo alla capitale d' Europa Berlino e perfino a Mosca, di una cieca necessità di potenza che dà luogo solo a se stessa con sempre maggior furia. Farla finita con l' accumulazione, fuoriuscire dalla sua struttura generale di gestione: lo stato. ---
Il dramma di Aleppo è che i guerriglieri di Al Nusra tengono in ostaggio i civili e non intendono arrendersi alle condizioni del regime di Damasco. A loro volta le truppe di Assad non esitano a bombardare a tutto spiano anche i civili. Gli iraniani non vogliono mollare i jihadisti di Aleppo se non in cambio della fine dell'assedio degli sciiti di Fuaa e Kefraya nell'area di Idlib. La Russia e la Turchia (che con l'Iran si troveranno a Mosca il 27 dicembre) fanno finta di negoziare per salvarsi reciprocamente la faccia: Putin non vuole passare come il macellaio di Aleppo ed Erdogan deve farsi perdonare di avere mollato i jihadisti che ha sostenuto fino a ieri contro Assad prendendo i soldi delle monarchie del Golfo. Gli Stati Uniti ad Aleppo si erano impegnati a separare la sorte della guerriglia dei jihadisti di Al Nusra dalle altre formazioni ma avendo sostenuto anche i qaidisti in funzione anti-Assad hanno molto da nascondere e poco da dire di fronte alla sconfitta. Quasi ne uccide più l'ipocrisia che le bombe. (A.Negri-Sole24ore-15 dic)
Aleppo è stata, per quattro anni, divisa non in due, come dicono i giornalisti in queste ore, ma in tre: il regime a ovest, i movimenti islamisti ad est e le forze rivoluzionarie promosse dai curdi a nord. Questa situazione è stata il prodotto di due rivoluzioni tra loro parallele e antagoniste, quella teocratica (Aleppo est) e quella confederale (Aleppo nord). Per comprendere le premesse di questa situazione è necessario tenere presente che la lotta armata iniziata nel 2011, benchè connessa con la rivolta che l’ha preceduta, non è ad essa storicamente sovrapponibile, ed ha avuto bisogno, per sua stessa natura, di una pianificazione, un’organizzazione e un equipaggiamento che la popolazione civile non sarebbe stata in grado di procurarsi. Per questo la Siria è diventata non soltanto teatro di scontro sociale, ma anche internazionale. I milioni di dollari necessari alla logistica, all’armamento e alla propaganda dell’insurrezione, oltre che gli stipendi dei combattenti e il loro addestramento, sono arrivati ad Aleppo come altrove tra il 2011 e il 2012 dalle potenze regionali ostili all’asse siro-iraniano – Turchia, Arabia Saudita, Qatar – e dai loro alleati europei e americani: Francia, Inghilterra, Stati Uniti.
Queste
potenze hanno offerto nello stesso periodo la supervisione alla
creazione di un’esercito ribelle (il Free Syrian Army o Fsa), la
produzione di un’interfaccia politica di questo esercito (la Coalizione
Nazionale Siriana, o Cns, espressione dei Fratelli Musulmani e di alcuni
piccoli gruppi dissidenti) e una macchina propagandistica
(l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, espressione della Cns e
finanziato e ospitato dall’Inghilterra). Due elementi, però, hanno
complicato da subito questo disegno. Da un lato, la popolazione siriana
ostile al regime non ha accettato questa “Coalizione” come
rappresentativa delle sue istanze, perchè costituita da ricchi
transfughi residenti all’estero, considerati estranei alle vicende del
paese e non dissimili dalle elite che già governano la Siria. In secondo
luogo, tanto una parte della popolazione, quanto l’Arabia Saudita e la
Turchia si sono mostrate pronte a sostenere movimenti armati orientati
all’imposizione di uno stato islamico d’impronta sunnita su tutto il
paese, laddove Usa e Ue avevano pensato di poter supportare forme di
radicalismo religioso “moderato” (si fa per dire) come quello, appunto,
dei Fratelli Musulmani.
Il tentativo di sottrarre Aleppo
all’autorità del governo iniziò sotto gli auspici turchi ed europei il
19 luglio del 2012 con un assalto armato dell’Fsa che a ben vedere
lasciò piuttosto fredda, se non ostile, la popolazione della città,
segnando l’inizio di una serie estenuante di offensive e controffensive
di cui vediamo l’esito in questi giorni. I combattimenti, tuttavia,
vennero sempre meno portati avanti dall’Fsa, diretto da ex ufficiali
dell’esercito visti dalla popolazione come mercenari prepotenti e
corrotti, che furono surclassati nelle operazioni militari e nel
reclutamento dei civili, tra il 2012 e il 2013, da un’organizzazione
anti-Assad alternativa, Jabat al-Nusra (oggi il suo nome è Fatah
al-Sham), filiale siriana di Al Qaeda il cui obiettivo è instaurare uno
stato islamico sui territori conquistati, e in prospettiva un califfato
globale. (Durante il 2013, in seno a questa organizzazione, si creò un
dissidio tra chi voleva dichiarare immediatamente uno stato islamico e i
suoi vertici, contrari all’idea, e più favorevoli a un’imposizione
della legge coranica a macchia di leopardo, e alla proclamazione del
califfato in una seconda fase. Fu così che i propugnatori del “califfato
immediato” si staccarono da Al Qaeda e formarono l’Isis, conquistando
una parte dell’Iraq e attaccando ripetutamente le città europee e
statunitensi).
La Turchia e l’Arabia
Saudita, supportate dall’Ue, hanno sostenuto negli anni l’allargamento
della corrente teocratica della rivoluzione contro il regime, dirottando
ad essa il denaro e le armi inizialmente orientati all’Fsa, che cessò
di esistere, ma hanno anche promosso la formazione di gruppi che,
sebbene orientati come Al Qaeda e l’Isis all’instaurazione di uno stato
islamico, sono direttamente controllati da Ankara e Riad. Questi gruppi,
che fecero di Aleppo est una loro base e, come Al Qaeda e l’Isis,
contano migliaia di combattenti, possiedono armi pesanti e gestiscono
fondi di milioni di dollari, si chiamano Arhar al-Sham e Jaish al-Islam.
Questi eserciti jihadisti hanno annichilito ad Aleppo, grazie al loro
potere economico e militare, tutti i movimenti e i gruppi con loro in
dissenso. C’è stata anche una vera e propria guerra civile interna
all’insurrezione islamica, che ha contrapposto nel 2013-2014 Al Qaeda,
Arhar al-Sham e Jaish al-Islam da un lato, aiutate dalle ultime bande
vicine ai Fratelli Musulmani, e l’Isis dall’altro. In questa guerra
civile interna al jihad globale, i quartieri di Aleppo est sono finiti
nel 2014 nelle mani di Al Qaeda, Arhar al-Sham e Jaish al-Islam, mentre
l’Isis ne è stato espulso. Al Qaeda e Arhar al-Sham hanno allora
fondato, con altri gruppi salafiti (ossia promotori della restaurazione
della società islamica del VII sec. dc), l’alleanza per Aleppo “Ansar
al-Sharia”; Jaish al-Islam (anch’essa organizzazione salafita), invece,
ne ha creata un’altra con gruppi minori, il cui nome è “Fatah Halab”.
Queste due “cabine di comando”, alleate e
coordinate tra loro, non hanno costituito soltanto la direzione armata
delle migliaia di miliziani che si sono contrapposti al regime a ovest e
ai curdi a nord in questi giorni, ma anche il potere brutale che ha
controllato Aleppo est in questi ultimi due anni, provocando vessazioni,
persecuzioni, discriminazioni e violenze inaudite sulla popolazione
civile, la cui vita quotidiana è precipitata in un incubo inedito per la
storia di Aleppo, città caratterizzata dalla sua profonda modernità,
varietà sociale e diversità religiosa, ideologica e culturale. Questo
incubo ha impedito la continuazione di qualsiasi rivoluzione o
opposizione nella città e ha letteralmente gettato gran parte della sua
popolazione tra le braccia del regime, la cui oppressione, se comparata
con quella dei salafiti dei quartieri orientali, è considerata un
sollievo. Quando si sente parlare di “ribelli” o “opposizione” ad
Aleppo, quindi, è necessario sapere che di questo si tratta e si è
trattato, per quanto tale realtà sia disturbante o scomoda.
La
macchina di propaganda che nasconde in questi giorni tutto questo è
stata orchestrata dal governo islamista della Turchia, da quello dello
stato islamico saudita, e dall’Unione Europea, che ha in questi due
regimi i suoi alleati nell’area, e considera suo interesse a qualsiasi
costo il rovesciamento, o almeno l’indebolimento e, se possibile, lo
smembramento dello stato siriano. Dal momento che la parte della
rivoluzione siriana supportata dall’Ue ha preso una direzione così
reazionaria, i media europei, come sempre servili verso le politiche
estere dei nostri governi, hanno in questi giorni completamente oscurato
questa circostanza, descrivendo, ad esempio, Aleppo est come un luogo
di semplice “opposizione” e “resistenza”, tacendo sui crimini commessi
dai movimenti salafiti che Francia e Inghilterra continuano a supportare
senza ritegno, sebbene l’imposizione delle corti della sharia come
unico riferimento giuridico ad Aleppo est abbia rappresentato in questi
anni un fenomeno contrario ai tanto sbandierati “diritti umani” e che
sarebbe considerato “terroristico” (anche a causa delle sue forme
paramilitari) dall’Ue in tutti gli altri contesti (è simile, a ben
vedere, ai fenomeni presi a giustificazione di guerre e bombardamenti in
moltissime aree del mondo, compreso il vicino Iraq).
La
battaglia per la riconquista di Aleppo da parte del governo siriano
viene raccontata diversamente, infatti, da quella dell’esercito iracheno
per la conquista di Mosul, è non è silenziata come il massacro che
l’Arabia Saudita e l’Egitto stanno compiendo contro la popolazione in
rivolta dello Yemen, benché tali governi non siano meno oppressivi verso
i propri popoli e quelli che bombardano. Qualcuno potrebbe pensare che
questa familiare logica dei “due pesi e due misure” abbia a che fare con
il fatto che i paesi dell’Ue sono collocati, nel medio oriente ricco di
risorse energetiche, su uno dei due grandi “assi” geopolitici che
contrappongono gli stati della regione: quello saudita, che comprende
paesi come Turchia, Egitto e monarchie del Golfo, con cui l’Ue organizza
i suoi affari, che da decenni si oppone per questioni di egemonia
economica all’altro “asse”, quello iraniano, che comprende lo stato
siriano. Non è un caso che, mentre l’ambasciatore Usa alle Nazioni Unite
Samantha Power accusa la Russia di essere “senza vergogna” per ciò che
le sue forze speciali hanno fatto ad Aleppo, la narrazione degli eventi
di questi giorni in Russia e in Cina (schierate invece, sempre per
interessi economici, con l’Iran e la Siria) è del tutto opposta,
somigliando a quella occidentale su Mosul: Aleppo vive una giusta e
necessaria “guerra al terrorismo”.
(Infoaut-17 dic)
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