venerdì 23 dicembre 2016

L' affaire Aleppo




Due articoli per dipanare il groviglio di interessi e di cerchie di potere sovrapposte (di livelli locale, regionale e globale) che ha trovato in Aleppo il punto di messa a terra attraverso cui scaricare la tensione e misurare le strategie vincenti e quelle errate, le alleanze vecchie, quelle nuove, prima fatte, poi disfatte, poi negate. Il risultato di morte e distruzione non finirà qui. 
Siamo tutti ostaggi, dall' antichissima Aleppo alla capitale d' Europa Berlino e perfino a Mosca, di una cieca necessità di potenza che dà luogo solo a se stessa con sempre maggior furia. Farla finita con l' accumulazione, fuoriuscire dalla sua struttura generale di gestione: lo stato. ---


Il dramma di Aleppo è che i guerriglieri di Al Nusra tengono in ostaggio i civili e non intendono arrendersi alle condizioni del regime di Damasco. A loro volta le truppe di Assad non esitano a bombardare a tutto spiano anche i civili. Gli iraniani non vogliono mollare i jihadisti di Aleppo se non in cambio della fine dell'assedio degli sciiti di Fuaa e Kefraya nell'area di Idlib. La Russia e la Turchia (che con l'Iran si troveranno a Mosca il 27 dicembre) fanno finta di negoziare per salvarsi reciprocamente la faccia: Putin non vuole passare come il macellaio di Aleppo ed Erdogan deve farsi perdonare di avere mollato i jihadisti che ha sostenuto fino a ieri contro Assad prendendo i soldi delle monarchie del Golfo. Gli Stati Uniti ad Aleppo si erano impegnati a separare la sorte della guerriglia dei jihadisti di Al Nusra dalle altre formazioni ma avendo sostenuto anche i qaidisti in funzione anti-Assad hanno molto da nascondere e poco da dire di fronte alla sconfitta. Quasi ne uccide più l'ipocrisia che le bombe. (A.Negri-Sole24ore-15 dic)




Aleppo è stata, per quattro anni, divisa non in due, come dicono i giornalisti in queste ore, ma in tre: il regime a ovest, i movimenti islamisti ad est e le forze rivoluzionarie promosse dai curdi a nord. Questa situazione è stata il prodotto di due rivoluzioni tra loro parallele e antagoniste, quella teocratica (Aleppo est) e quella confederale (Aleppo nord). Per comprendere le premesse di questa situazione è necessario tenere presente che la lotta armata iniziata nel 2011, benchè connessa con la rivolta che l’ha preceduta, non è ad essa storicamente sovrapponibile, ed ha avuto bisogno, per sua stessa natura, di una pianificazione, un’organizzazione e un equipaggiamento che la popolazione civile non sarebbe stata in grado di procurarsi. Per questo la Siria è diventata non soltanto teatro di scontro sociale, ma anche internazionale. I milioni di dollari necessari alla logistica, all’armamento e alla propaganda dell’insurrezione, oltre che gli stipendi dei combattenti e il loro addestramento, sono arrivati ad Aleppo come altrove tra il 2011 e il 2012 dalle potenze regionali ostili all’asse siro-iraniano – Turchia, Arabia Saudita, Qatar – e dai loro alleati europei e americani: Francia, Inghilterra, Stati Uniti.

Queste potenze hanno offerto nello stesso periodo la supervisione alla creazione di un’esercito ribelle (il Free Syrian Army o Fsa), la produzione di un’interfaccia politica di questo esercito (la Coalizione Nazionale Siriana, o Cns, espressione dei Fratelli Musulmani e di alcuni piccoli gruppi dissidenti) e una macchina propagandistica (l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, espressione della Cns e finanziato e ospitato dall’Inghilterra). Due elementi, però, hanno complicato da subito questo disegno. Da un lato, la popolazione siriana ostile al regime non ha accettato questa “Coalizione” come rappresentativa delle sue istanze, perchè costituita da ricchi transfughi residenti all’estero, considerati estranei alle vicende del paese e non dissimili dalle elite che già governano la Siria. In secondo luogo, tanto una parte della popolazione, quanto l’Arabia Saudita e la Turchia si sono mostrate pronte a sostenere movimenti armati orientati all’imposizione di uno stato islamico d’impronta sunnita su tutto il paese, laddove Usa e Ue avevano pensato di poter supportare forme di radicalismo religioso “moderato” (si fa per dire) come quello, appunto, dei Fratelli Musulmani.

Il tentativo di sottrarre Aleppo all’autorità del governo iniziò sotto gli auspici turchi ed europei il 19 luglio del 2012 con un assalto armato dell’Fsa che a ben vedere lasciò piuttosto fredda, se non ostile, la popolazione della città, segnando l’inizio di una serie estenuante di offensive e controffensive di cui vediamo l’esito in questi giorni. I combattimenti, tuttavia, vennero sempre meno portati avanti dall’Fsa, diretto da ex ufficiali dell’esercito visti dalla popolazione come mercenari prepotenti e corrotti, che furono surclassati nelle operazioni militari e nel reclutamento dei civili, tra il 2012 e il 2013, da un’organizzazione anti-Assad alternativa, Jabat al-Nusra (oggi il suo nome è Fatah al-Sham), filiale siriana di Al Qaeda il cui obiettivo è instaurare uno stato islamico sui territori conquistati, e in prospettiva un califfato globale. (Durante il 2013, in seno a questa organizzazione, si creò un dissidio tra chi voleva dichiarare immediatamente uno stato islamico e i suoi vertici, contrari all’idea, e più favorevoli a un’imposizione della legge coranica a macchia di leopardo, e alla proclamazione del califfato in una seconda fase. Fu così che i propugnatori del “califfato immediato” si staccarono da Al Qaeda e formarono l’Isis, conquistando una parte dell’Iraq e attaccando ripetutamente le città europee e statunitensi).

La Turchia e l’Arabia Saudita, supportate dall’Ue, hanno sostenuto negli anni l’allargamento della corrente teocratica della rivoluzione contro il regime, dirottando ad essa il denaro e le armi inizialmente orientati all’Fsa, che cessò di esistere, ma  hanno anche promosso la formazione di gruppi che, sebbene orientati come Al Qaeda e l’Isis all’instaurazione di uno stato islamico, sono direttamente controllati da Ankara e Riad. Questi gruppi, che fecero di Aleppo est una loro base e, come Al Qaeda e l’Isis, contano migliaia di combattenti, possiedono armi pesanti e gestiscono fondi di milioni di dollari, si chiamano Arhar al-Sham e Jaish al-Islam. Questi eserciti jihadisti hanno annichilito ad Aleppo, grazie al loro potere economico e militare, tutti i movimenti e i gruppi con loro in dissenso. C’è stata anche una vera e propria guerra civile interna all’insurrezione islamica, che ha contrapposto nel 2013-2014 Al Qaeda, Arhar al-Sham e Jaish al-Islam da un lato, aiutate dalle ultime bande vicine ai Fratelli Musulmani, e l’Isis dall’altro. In questa guerra civile interna al jihad globale, i quartieri di Aleppo est sono finiti nel 2014 nelle mani di Al Qaeda, Arhar al-Sham e Jaish al-Islam, mentre l’Isis ne è stato espulso. Al Qaeda e Arhar al-Sham hanno allora fondato, con altri gruppi salafiti (ossia promotori della restaurazione della società islamica del VII sec. dc), l’alleanza per Aleppo “Ansar al-Sharia”; Jaish al-Islam (anch’essa organizzazione salafita), invece, ne ha creata un’altra con gruppi minori, il cui nome è “Fatah Halab”.

Queste due “cabine di comando”, alleate e coordinate tra loro, non hanno costituito soltanto la direzione armata delle migliaia di miliziani che si sono contrapposti al regime a ovest e ai curdi a nord in questi giorni, ma anche il potere brutale che ha controllato Aleppo est in questi ultimi due anni, provocando vessazioni, persecuzioni, discriminazioni e violenze inaudite sulla popolazione civile, la cui vita quotidiana è precipitata in un incubo inedito per la storia di Aleppo, città caratterizzata dalla sua profonda modernità, varietà sociale e diversità religiosa, ideologica e culturale. Questo incubo ha impedito la continuazione di qualsiasi rivoluzione o opposizione nella città e ha letteralmente gettato gran parte della sua popolazione tra le braccia del regime, la cui oppressione, se comparata con quella dei salafiti dei quartieri orientali, è considerata un sollievo. Quando si sente parlare di “ribelli” o “opposizione” ad Aleppo, quindi, è necessario sapere che di questo si tratta e si è trattato, per quanto tale realtà sia disturbante o scomoda.

La macchina di propaganda che nasconde in questi giorni tutto questo è stata orchestrata dal governo islamista della Turchia, da quello dello stato islamico saudita, e dall’Unione Europea, che ha in questi due regimi i suoi alleati nell’area, e considera suo interesse a qualsiasi costo il rovesciamento, o almeno l’indebolimento e, se possibile, lo smembramento dello stato siriano. Dal momento che la parte della rivoluzione siriana supportata dall’Ue ha preso una direzione così reazionaria, i media europei, come sempre servili verso le politiche estere dei nostri governi, hanno in questi giorni completamente oscurato questa circostanza, descrivendo, ad esempio, Aleppo est come un luogo di semplice “opposizione” e “resistenza”, tacendo sui crimini commessi dai movimenti salafiti che Francia e Inghilterra continuano a supportare senza ritegno, sebbene l’imposizione delle corti della sharia come unico riferimento giuridico ad Aleppo est abbia rappresentato in questi anni un fenomeno contrario ai tanto sbandierati “diritti umani” e che sarebbe considerato “terroristico” (anche a causa delle sue forme paramilitari) dall’Ue in tutti gli altri contesti (è simile, a ben vedere, ai fenomeni presi a giustificazione di guerre e bombardamenti in moltissime aree del mondo, compreso il vicino Iraq).

La battaglia per la riconquista di Aleppo da parte del governo siriano viene raccontata diversamente, infatti, da quella dell’esercito iracheno per la conquista di Mosul, è non è silenziata come il massacro che l’Arabia Saudita e l’Egitto stanno compiendo contro la popolazione in rivolta dello Yemen, benché tali governi non siano meno oppressivi verso i propri popoli e quelli che bombardano. Qualcuno potrebbe pensare che questa familiare logica dei “due pesi e due misure” abbia a che fare con il fatto che i paesi dell’Ue sono collocati, nel medio oriente ricco di risorse energetiche, su uno dei due grandi “assi” geopolitici che contrappongono gli stati della regione: quello saudita, che comprende paesi come Turchia, Egitto e monarchie del Golfo, con cui l’Ue organizza i suoi affari, che da decenni si oppone per questioni di egemonia economica all’altro “asse”, quello iraniano, che comprende lo stato siriano. Non è un caso che, mentre l’ambasciatore Usa alle Nazioni Unite Samantha Power accusa la Russia di essere “senza vergogna” per ciò che le sue forze speciali hanno fatto ad Aleppo, la narrazione degli eventi di questi giorni in Russia e in Cina (schierate invece, sempre per interessi economici, con l’Iran e la Siria) è del tutto opposta, somigliando a quella occidentale su Mosul: Aleppo vive una giusta e necessaria “guerra al terrorismo”.

 (Infoaut-17 dic)

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