giovedì 8 dicembre 2016

Il non-equilibrio


Un estratto da un articolo di Guglielmo Carchedi reperibile in rete dal titolo "Dialettica e temporalità in Marx". Articolo che non ho strumenti per comprendere  pienamente e a questo limito il copia-incolla. Quel geniaccio di Marx, ponendo a contatto la processualità storico-sociale dell' economia e la matematica -passaggio necessario per estrarre dalla complessa fenomenologia capitalista le sue leggi di movimento- e osservandone la reazione, deve necessariamente inserire anche (la inserisce correttamente ovunque!) in quest' ultima una temporalità che volgarmente  non le si attribuisce. La cosa, come è successo spesso, non piace a chi ha una concezione  feticistica  dell' economia -ma direi delle scienze in generale- in cui un oggetto sociale si analizza come fosse un asteroide. Una implicazione di questo  distendersi nel tempo è che tramonta la coppia concettuale "cosmogonica"  disequilibrio/equilibrio a favore di quella ben più espressiva di tendenza/controtendenza, in cui è la stessa unità contraddittoria del Capitale (e non princìpi opposti che si escludono a vicenda) a provocare le onde economiche espansive all' interno di una unica legge tendenziale di movimento. Cercare di smentire la teoria del valore o, più facile, alcune delle sue singole asserzioni è una rogna che si sono cercata in parecchi.

Vi sono state molte dispute nella storia della teoria del valore. A incominciare dagli anni 1980, una controversia è divampata tra i marxisti che sostengono che l’economia è in equilibrio o tende verso di esso (l’approccio dell’ equilibrio) e quei marxisti che sostengono che la nozione di equilibrio è aliena alla teoria di Marx.

Per questi ultimi, non solo l’equilibrio ma anche le deviazioni da esso (il disequilibrio) sono solo potenti nozioni ideologiche che non hanno alcuna rilevanza per una teoria economica del mondo reale. Infatti, l’economia capitalista tende non verso l’equilibrio ma verso le crisi attraverso una successione di cicli economici. I due approcci sono radicalmente differenti. I termini ‘economia del (dis)equilibrio’ e ‘economia del non-equilibrio’ sottolineano questa differenza. La disputa non è ancora stata risolta, in una maniera o nell’altra.

Il dibattito si è concentrato principalmente su due aspetti: il cosiddetto problema della trasformazione [del valore delle merci in prezzo di produzione, nota mia] e la caduta tendenziale del tasso di profitto. In entrambi i casi, dalla prospettiva dell’equilibrio e del concomitante simultaneismo (la teorizzazione dell’economia come se il tempo non esistesse, cioè dove tutto accade simultaneamente) si possono trovare molte inconsistenze in Marx. Ma dalla prospettiva del non-equilibrio e concomitante temporalismo (la teorizzazione dell’economia in cui il tempo gioca un ruolo essenziale) queste inconsistenze scompaiono.

Lo scopo di questo articolo non è quello di rivisitare il dibattito. È sufficiente menzionare che, per quanto riguarda la coerenza interna della teoria di Marx, il fatto che l’approccio temporale e del non-equilibrio renda possibile la soluzione di tali inconsistenze è una ragione sufficiente per scegliere tale approccio. La stessa scelta è inevitabile ce se si è interessati ad una teoria del mondo reale piuttosto che in una teoria del mondo virtuale (senza tempo). Questo articolo non vuole neanche affrontare una questione differente ma correlata: se si sceglie l’approccio temporale e del non-equilibrio, se l’economia a quindi la società non sono in equilibrio e neppure tendono verso di esso,come è possibile che esse si possano riprodurre? Ho trattato di questa questione in un altro lavoro. In quel lavoro, propongo un metodo dialettico di ricerca sociale che spiega sia la riproduzione che il superamento del capitalismo nell’assenza della nozione di (dis)equilibrio.Piuttosto, quest’articolo partecipa indirettamente al dibattito ponendo una questione differente: è possibile trovare una conferma della nozione di dialettica di Marx nei suoi Manoscritti Matematici (d’ora in avanti, MMM)?

Com'è noto, Marx non hai mai scritto un trattato sulla dialettica. In altri lavori ho argomentato che tale nozione piuttosto che essere cercata in Hegel dovrebbe essere estratta dal lavoro dello stesso Marx. La conclusione a cui giunge quel lavoro è che tale nozione è basata su tre principi che sono le cordonate del metodo di ricerca sociale di Marx.

Primo, i fenomeni sociali sono sempre sia realizzati che potenziali e cioè essi contengono in se stessi un ambito di potenzialità la cui realizzazione spiega il loro cambiamento. L’aspetto realizzato e quello potenziale possono essere contradditori. Secondo, i fenomeni sociali sono sempre sia determinanti che determinati. Cioè essi sono connessi da una  relazione di determinazione reciproca. Per semplicità espositiva, chiamiamo i primi A e i secondi B. A è determinante di B perché A è la condizione di esistenza di B in quanto B è contenuto potenzialmente in A e A causa l’emergere di B dal suo stato potenziale cosicché B diventa una istanza realizzata. B è determinato da A. B, dal canto suo, realizzandosi, diventa la condizione realizzata della riproduzione o del superamento di A, cioè del cambiamento di A. Questa nozione di reciproca determinazione presuppone un dimensione temporale. Solo ciò che si è già realizzato può causare la realizzazione di ciò che non si è ancora realizzato ma esiste solo potenzialmente (in ciò che si è realizzato). Terzo, da questi due principi segue che i fenomeni sociali sono soggetti a un movimento e cambiamento continui e cioè essi cambiano da uno stato realizzato a quello potenziale e viceversa e da uno stato determinante ad uno determinato.

Ne consegue che la realtà sociale, vista dal punto di vista dialettico, è un flusso temporale di fenomeni contradditori determinanti e determinati che emergono continuamente da uno stato potenziale per diventare fenomeni realizzati e che poi ritornano ad uno stato potenziale. La società tende a riprodursi o a superare se stessa attraverso questo movimento. Ne' l’equilibrio ne' il disequilibrio giocano un ruolo nella riproduzione della società. Essi sono semplicemente dei concetti ideologici con nessun contenuto scientifico.


In genere, gli studiosi dei MMM considerano il metodo di calcolo differenziale di Marx dal punto di vista della storia della matematica. Come risaputo, Marx iniziò lo studio della matematica perché, come ebbe a dire egli stesso, la sua conoscenza dell’algebra era insufficiente per la elaborazione dei principi dell’economia. La prima indicazione dell’interesse di Marx per la matematica è contenuta in una lettera ad Engels del 1858 in cui scrive:

“Nello sviluppare i principi dell’economia sono stato così dannatamene ostacolato da errori di calcolo che in disperazione ho incominciato di nuovo a ripassarmi l’algebra L’aritmetica mi è sempre stata ostica. Prendendo la deviazione per l’algebra sto facendo di nuovo rapidi progressi”. 

Nel 1863 scrive di nuovo ad Engels: “nel mio tempo libero faccio calcolo differenziale ed integrale.” È molto interessante che in un’altra lettera a Engels dieci anni più tardi (1873) dà un esempio di quali principi dell’economia egli avesse in mente:

“Ho riferito a Moore del problema su cui da tempo mi sto rompendo la testa. Tuttavia lui
pensa che sia irrisolvibile, per lo meno pro tempore, a causa dei molti fattori che giocano un ruolo, molti dei quali devono ancora essere scoperti. Il problema è questo: hai visto quei grafici in cui i movimenti annuali dei prezzi, dei tassi di sconto, ecc. sono esibiti come zig zag crescenti e decrescenti. Ho tentato in vari modi di analizzare le crisi calcolando questi su e giù come curve irregolari e ero dell’opinione (e credo ancora che sarebbe possibile se il materiale fosse analizzato sufficientemente) che potrei essere in grado di determinare matematicamente le leggi principali che regolano le crisi. Come ho detto, Moore pensa che ciò non sia possibile oggigiorno e ho deciso di rinunciarvi per adesso”
Alla luce del fatto che “le leggi principali che governano le crisi” sono, come tutte le leggi sociali, tendenziali e contraddittorie, è impossibile “determinare matematicamente” tali leggi. Primo, la matematica è un ramo della logica formale e nella logica formale le premesse non possono essere contraddittorie. Tuttavia, per spiegare le leggi del movimento della società è necessario iniziare da premesse contraddittorie (nel senso di contraddizioni dialettiche) ed è per questo che le leggi del movimento sono tendenziali. Secondo, anche se si conoscessero “tutti i fattori che giocano un ruolo”, sarebbe praticamente impossibile prendere tutti in considerazione. Questo è il motivo per cui i modelli econometrici, anche quelli composti di migliaia di equazioni, hanno risultati tanto disastrosi come strumenti di predizione. Ma se è impossibile determinare le leggi delle crisi puramente in termini matematici è certamente possibile analizzare i movimenti ciclici degli indicatori economici (i su e giù) usando la “matematica superiore”. Questa è l’intuizione di Marx ed è (anche) per questo che si dedicò allo studio del calcolo. [...]

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