lunedì 14 gennaio 2019

Black mirror

Sto seguendo la serie tv "Black mirror", ieri sera mi è toccato il secondo episodio della seconda stagione intitolato "Torna da me". La storia è presto detta: due giovani fidanzati inglesi vanno felici  a vivere nella vecchia casa di campagna, abbandonata da anni, dove lui è cresciuto con la madre. Tra le ragnatele, su una mensola, una foto del ragazzo ancora bambino: traendone spunto lui le racconta che l' unica reazione della madre alle morti -avvenute in successione e per motivi diversi- di suo fratello e poi del capofamiglia fu di levare tutte le foto dei deceduti e di portarle mestamente in soffitta.

Passata la prima notte, in cui fanno l' amore e lei rimane incinta, lui esce e muore in un incidente stradale. Per lei, dopo il primo momento del lutto viene quello, molto peggiore, della solitudine nella vecchia e grande casa che lei nonostante gli avvenimenti rimette a posto -continuando nel frattempo gli incarichi come free lance di computer grafica. Una conoscente la abbona presso una società che offre un servizio molto particolare: analizzando e poi sintetizzando tutto ciò che è in rete riguardo al defunto ( tweet, post, foto, video, documenti audio, mail pubbliche e, previo consenso, mail private ) il software della società dà vita ad una voce con timbro ed eloquio uguali a quelli del fidanzato. Un interlocutore tornato dalla morte con cui lei molto spesso  dialogherà al telefono con soddisfazione mista ad un imbarazzo molto british , mettendolo al corrente di quello che fa e di come procede la gravidanza.

Quando lei è cotta al punto giusto, " la voce" le propone un livello superiore di "ritorno da lei": un corpo in tutto e per tutto identico a quello del defunto fidanzato. Lei accetta nonostante "non sia per niente a buon prezzo". Inutile dire che dopo il primo periodo di sorpresa  e di entusiasmo, il perfetto clone sintetico inizia ad accusare mancanza di reattività nelle situazioni  più emotivamente intricate ecc ecc.  Il nostro replicante finirà, come da accenno, anche lui in soffitta.

Ora, la morale della favola sembra essere banalmente umanistica: le macchine non potranno mai avere la nostra umanità, il nostro livello di lacerante contraddizione, l' emotività, i sentimenti, insomma quel groviglio confuso di emancipazioni e regressioni che chiamiamo individuo, nel senso di storia personale, di unicità distesa nel tempo.

Una obiezione un pò retrograda, trovo. L' intelligenza artificiale sta sviluppando macchine con capacità di auto-apprendimento talmente notevoli che gli scienziati solo a posteriori si interrogano  e si spiegano, neanche sempre, i risultati inediti che queste macchine forniscono. 

Vista così la cosa, si potrebbe allora dire che il clone pecca esclusivamente da un punto di vista tecnico, non riuscendo a processare tutti i dati e a riprogrammarsi abbastanza velocemente da costruirsi un proprio approccio originale, quindi di corrispondere in maniera empatica allo scoppio della volatilità emotiva insita in un rapporto intimo.

Il mio problema però è politico: non fosse così probabilmente basterebbe aspettare qualche altro anno ancora.

E se l' happy end di questa storia fosse invece di mandare in soffitta lei (la borghesia con tutto il suo umanesimo) e di tenerci la sua macchina ?---






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