giovedì 30 giugno 2016

Dove aleggia lo spirito di Margaret Thatcher

Propongo qui un articolo di Oscar Giannino circa il referendum sulla brexit pubblicato un paio di giorni prima il 23 giugno, in cui è sottolineato il realismo con cui, soprattutto, ma anche prima, a partire dall' era Thatcher, il Regno Unito ha affrontato il tema dell' unificazione europea rispetto alla narrazione dell' europeo regno della pace perpetua, scampato il pericolo di una guerra nucleare che ci avrebbe visto esattamente nel mezzo. 

Com'è noto Giannino è uno strenuo difensore del libero mercato e, se parla di Italia o di EU (Stato e Super-stato), lo fa sempre nei termini di ingerenza della burocrazia politica sull'economia la quale così non riesce ad esprimere pienamente il suo potenziale in termini di crescita.
 
Concordo fino ad un certo punto: in questa settimana si è molto discusso di stato e sovrastato (identificato con la finanza internazionale e con l'UE sua portavoce). Io rifiuto il derby stato-mercato e considero che lo sviluppo storico capitalistico è sempre un rimando reciproco di dirigismo organizzativo statale e di capitali privati che, lungi dal contrapporsi allo stato, cercano di lavorarselo affinchè siano nelle migliori condizione di battere i concorrenti interni ed esterni. Poi esiste anche una labile autonomia del politico dall' economico -l' esito referendario ne è un esempio parziale- ma, per lo più, chi la invoca oggi è come un bambino spaventato dal buio: riempire questa capitalistica  notte con la propria voce può dare un pò di conforto ma non la renderà meno buia.---    


Quando nel 1975 i cittadini del Regno Unito furono chiamati a referendum sul restare o meno in quella che allora era la CEE, votarono in quasi 26 milioni sui 40 milioni aventi diritto, e il sì vinse con il 67%. Il referendum era stato convocato da un governo laburista, il che dà torto a chi oggi dice che far decidere ai cittadini sia una mania dei conservatori antieuropeisti o dei populisti “di pancia”.

Mario Monti ha dichiarato alla Stampa che il referendum britannico del 23 giugno è un disastro, non solo perché voluto dal premier conservatore Cameron per rafforzare la sua leadership interna, ma soprattutto perché manda all’aria decenni di paziente tessitura europea da parte di statisti e governi. Sergio Romano oggi sul Corriere ringrazia i costituenti per la loro saggezza, perché la Costituzione vieta agli italiani referendum su spesa pubblica, fisco e Trattati internazionali ergo anche sulla Ue.  E’ un punto di vista singolare. Non lo condivido. L’integrazione europea è lenta e ha moltissimi difetti sempre più evidenti in questi anni di crisi, basta pensare all’incapacità di una vera comune politica dell’immigrazione, oppure al “fai da te” con cui tra mille scontri in questi anni la BCE si è inoltrata nelle politiche monetarie non ortodosse per contenere la crisi. Ma proprio per questo o l’Europa è un grande principio capace di generare benefici e i politici sanno spiegarlo agli elettori, appellandosi ai loro portafogli e alle loro teste ma anche ai loro cuori e alla loro emotività; oppure se perdono nei referendum si deve al fatto che quei benefici o non sono abbastanza forti, o i politici non sanno spiegarli.  I populisti emotivi e i nazionalisti in politica ci sono sempre stati. La differenza è se i loro avversari riescono a batterli con argomenti convincenti, oppure no. Se gli argomenti convincenti mancano, la risposta non può essere “vietiamo i referendum”.


domenica 19 giugno 2016

London calling





Pochi giorni al referendum sulla brexit -che ho intimamente ribattezzato London Calling. Il referendum, nato apparentemente a causa di beghe interne ai conservatori, mostra la vistosa frattura sociale interna al UK  -ed a quasi tutti i paesi comunitari; fonti EU confermano che "le più forti disparità in termini di creazione di ricchezza tra regioni dello stesso paese si registrano all'interno del Regno Unito, poiché il Pil pro capite della regione Inner London è quasi cinque volte più alto di quello della regione West Wales". Sarebbe strano che queste forti discrepanze non prendessero una forma politica - ma non di classe, non mi stupirei che il voto pro o contro l'EU  riflettesse in distribuzione geografica quella della ricchezza sociale, con chi impoverisce e chi potrebbe guadagnare ancora di più a favore del "leave", chi ha mantenuto il proprio tenore di vita nonostante la crisi o, grazie ad essa, lo ha migliorato schierato con lo status quo attuale. Quelli messi peggio non votano. A mio avviso, riguardo alla scelta referendaria, la  brexit non ha alcuna possibilità di passare in un clima sociale, da quel che ho capito, complessivamente più anestetizzato che rovente, omicidi a parte.

In questo senso propongo qui sotto un articolo del 2014 - intitolato "Le due europe dell'economia, oltre gli stereotipi e i confini statuali" - che traccia i confini geografici di una kerneurope economica a carattere regionale che è trasversale agli stati nazionali. Questa trasversalità , mappa della produzione reale della ricchezza, pone forse uno fra i problemi più grossi alla realizzazione del vecchio progetto, sempre sottotraccia e pronto a tornare in auge nei prossimi momenti di crisi acuta,  del ministro tedesco Schäuble riguardo ad un gruppo core di paesi allineati agli alti standard  economico sociali tedeschi, non a caso internamente il più omogeneo fra i più grandi e popolosi paesi comunitari .



Otto anni di crisi economica hanno compromesso la convergenza che l'Europa sperimentava fino alla metà degli anni 2000. Stante una certa debolezza della Germania, si assisteva ad esempio alla rapida crescita di zone fino a poco prima depresse, come l'Irlanda o la Spagna, e allo spettacolare aumento dei livelli di consumo dei greci o degli ungheresi. Gli obiettivi di coesione, tra i principi fondativi dell'UE, apparivano a portata di mano, raggiungibili senza troppo sforzo, grazie a un paio di decenni di distribuzione di fondi europei e apertura dei mercati. La congiuntura negativa ha spazzato via tale illusione – basata, come si è visto, su presupposti finanziari fragilissimi. 

domenica 12 giugno 2016

La questione tedesca secondo Luttwak

"Il principio della segreta è rovesciato... la visibilità una trappola" 


Rispolvero un vecchio articolo sulla questione tedesca del 2011 di Hans Kundnani basato sulla teoria geo-economica di Edward Luttwak, un personaggetto coi controfiocchi che conoscete.

 Luttwak, esperto di strategia e politica estera, all’inizio degli anni Novanta, nel parziale tentativo di recuperare la centralità dello Stato e con specifico riferimento al triangolo d’oro (USA, Germania e Giappone, gli ultimi due avevano firmato qualche anno prima, obtorto collo, gli accordi dell' Hotel Plaza), applica le logiche del conflitto alle regole del commercio internazionale, usando proprio ‘geoeconomia’ come sostituto di ‘geopolitica’. 

Le strette interazioni fra rapporti commerciali  e rapporti di potenza non sfuggono certo a nessun scaltro lettore della economia politica mondiale, tranne a coloro che tendono ad interpretare la globalizzazione come guadagno reciproco progressivo e interdipendenza positiva (win-win). Luttwak, più solidamente, interpreta la finalità primaria delle politiche geoeconomiche, statuali e non, al raggiungimento o al mantenimento della supremazia tecnologica e commerciale, all' espansione e alla difesa dalla concorrenza delle proprie quote di mercato.---



Un diverso modo di intendere la peculiarità della potenza tedesca è possibile in base al concetto di «geoeconomia», formulato da Edward Luttwak. In un saggio pubblicato su The National Interest nel 1990 – quasi esattamente nello stesso momento in cui Maull classificava la Germania come potenza civile – Luttwak descriveva come, in alcune parti del mondo, il ruolo della potenza militare stesse diminuendo e le «tecniche commerciali» stessero sostituendo quelle «belliche», grazie alla disponibilità di capitali in luogo della potenza di fuoco, l’innovazione al posto del progresso tecnico-militare e la penetrazione nei mercati al posto delle guarnigioni e delle basi 24.

venerdì 10 giugno 2016

Welcome to the machine




"Il sogno dell'essere umano è diventare una macchina"



"La macchina,  modo particolare di esistenza del Capitale, determinato dal suo processo complessivo, in quanto capitale fisso", si presenta non più come elementare mezzo di lavoro ma come  sistema automatico di macchine che incorpora lui il lavoro vivo -in quantità e qualità- nel processo di produzione di valore. In maniera tutta spettacolare, il "lavoro" non è più, portando in là il ragionamento, il lavoro immediato dell' operaio ma è la totalità dei lavori passati -sintetizzati e concettualizzati nel "cervello sociale" e organizzati nella rete delle macchine. Tutto ciò conferma e non contraddice che il valore è impresso nella merce -come un sigillo- da quella minima presenza operaia: lì accanto, il sistema delle macchine, per quanto fantasmagorico, costa esattamente quanto produce.

Se qualcuno ancora si illudesse, quello che era il sapere tradizionale della civiltà del lavoro, le abilità prima dell' artigiano e poi dell'operaio ed inscindibili da essi, ascrivibili nel capitale variabile, sono passate da tempo a far parte quasi esclusiva del capitale costante. Le conseguenze nei rapporti di forza tra classi è sotto gli occhi di tutti, in particolare quando si magnifica il comparto manifatturiero.


domenica 5 giugno 2016

Droghe a marchio CE


Una breve inchiesta sul mondo, ovvero il mercato, della droga in Europa e limitrofi, copiato e rimontato  dalla Relazione sulla Droga 2016 edita dall' Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA) e integrato da vari articoli di stampa. Dichiaro subito che non ho fini nè proibizionisti nè antiproibizionisti, il Diritto è qualcosa di relativo, io per me farei l'eutanasia di tutte le merci capitalistiche e comincerei a produrre in modo umano per soddisfare i bisogni umani così come si manifestano nel tempo e nello spazio. 

Poichè tutte le merci capitalistiche si producono e circolano per riportare profitto, le merci -o i servizi- illegali sono un punto di vista privilegiato, per l' alto valore estratto in pochissimo tempo, attraverso cui scoprire le stesse elementari regole sottostanti al "normale" funzionamento economico. Le droghe come i pannolini, le mafie internazionali come corporate, in più, e a più livelli, una moltitudine di piccoli imprenditori, penso ai piani bassi dello spaccio, che sgomitano per farsi luce cioè competono con i  concorrenti; se si ragiona alla Saviano, attraverso la dicotomia businnes  legale/illegale, forse il meglio va perso.

Nella mole di dati forniti dal rapporto, abbastanza pallosa, emerge la tendenza delle company che gestiscono il traffico di stupefacenti a livello mondiale a portare verso i consumatori molecole sempre più pure o "enhanced" e ad imporre al consumo le sostanze le cui rotte sono di volta in volta più facili da tenere aperte.

Questo aspetto, quello delle rotte, non viene sviluppato nel rapporto: si accenna appena alle nuove rotte russo-baltica e caucasica-Mar Nero per l'eroina afgana; nulla sulla produzione di marijuana albanese e kossovara; nulla sulla aumentata produzione di hashish libanese e siriano che entra dalla storica rotta balcanica -usata da decenni per eroina e armi; per la cocaina nulla sulla recente rotta che da Colombia, a volte passando dal Venezuela, approda per via aerea o marittima nelle polveriere dell' Africa occidentale e poi in Libia. Corruzione politica, guerra, tecnologie, migranti: tutto serve al businnes!

A supplire alle difficoltà delle mutevoli situazioni geopolitiche  lo sviluppo di coltivazioni "a km zero" per quanto riguarda cannabis e, si ipotizza, papavero da oppio poi trasformato in loco (come facevano i marsigliesi e i siciliani già negli anni '70), oltre ai tradizionali laboratori che sfornano molecole sintetiche sempre più forti e sempre nuove, in parallelo e in certa connivenza con l' industria farmaceutica.

Dal punto di vista  del consumo la tendenza è sommare contemporaneamente l' assunzione di più droghe: canapa, eroina, cocaina, MDMA, metamfetamina, cannabioidi, per tacere del classico alcool a go-go; di tutto di più pur di scappare via da una realtà invivibile - per cascare in una uguale e che si farà ben presto peggiore.---


L’analisi qui presentata descrive un mercato europeo della droga che si conferma resiliente, con alcuni indicatori, per la cannabis e gli stimolanti in particolare, attualmente in ascesa. Nel complesso, dai dati relativi all’offerta si evince che la purezza o la potenza della maggior parte delle sostanze illecite sono elevate o in aumento. La maggioranza dei recenti dati relativi all’indagine sulla prevalenza mostra a sua volta modesti aumenti nel consumo stimato delle sostanze stupefacenti più comunemente assunte. Il mercato della droga è inoltre più complesso: oltre alle droghe tradizionali, infatti, i consumatori hanno a disposizione nuove sostanze, vi sono segnali che i farmaci stanno acquistando maggiore importanza e i modelli di poliassunzione sono la norma tra coloro che hanno problemi di droga. Gli sforzi di interdizione sono messi a dura prova dal fatto che la produzione di cannabis, droghe sintetiche e persino alcuni oppiacei e nuove sostanze psicoattive ora avviene in Europa, vicino ai mercati dei consumatori.